Anni di piombo. E' questa la definizione semplicistica, quanto fuorviante,
data in questi anni da buona parte della saggistica e della pubblicistica,
al lungo Sessantotto italiano. Un'immagine stereotipata che ha versato
chili di fango su una fase storica complessa, contraddittoria, anche drammatica
che, però, va analizzata partendo dall'ampiezza dei fermenti sociali,
culturali, oltre che politici, che attraversarono la società italiana.
E allora è forse proprio iniziando dalle immagini che è possibile
ridare dignità, visibilità, rispetto, a quel decennio, proponendo
i volti dei protagonisti, dei tanti che "ci misero la faccia". In questo
senso un contributo egregio ci viene dal libro "Scatti in movimento", "dalla
metropoli alla provincia: l'Italia e le Marche negli anni sessanta e settanta",
curato da Silvia Casilio e Marco Paolucci, Edizioni Università di
Macerata (EUM), 354 pp. euro 26,50. Decine di foto a partire dal 1967,
accompagnate dai testi di Walter Pagliero, Oscar Brontesi, Loris Campetti,
Pablo Echaurren, Nanni Balestrini, Enrico Scuro, Carlo Infante, ci conducono
in un lungo viaggio attraverso gli anni che scossero le fondamenta del
potere politico, economico e culturale del nostro Paese. Ma se possono
sembrare abbastanza scontati i capitoli dedicati al lato più "politico"
della stagione della militanza e dell'impegno, una riflessione a parte
merita la sezione dedicata al "mondo in comune", "l'underground spettinato
dell'Italia degli anni sessanta", come recita il primo capitolo del volume.
E il lavoro di Silvia Casilio e Marco Paolucci ci porta nella fase apparentemente
"prepolitica" del '68, ma in realtà sicuramente quella più
originale e, come vedremo, che ha meglio seminato nel tempo. Ci vengono
proposte le testimonianze di chi "disertò" dalla famiglia, si rivoltò
contro il conformismo imperante e scelse di sperimentare nuovi modi di
stare insieme. Sono qui raccontate le "Comuni" di Mele nel Passo del Turchino,
di San Giovanni a Castellamonte e di Ovada, esperienze nate tra la fine
degli anni sessanta e l'inizio dei settanta. Alla base una gran voglia
di riprendersi la vita e abbracciare la libertà. "Mi ritrovo a 16
anni su una grande strada piena di auto e di tir che sfrecciano in tutte
le direzioni. Qualche tempo prima mio padre era tornato a casa dicendomi
di avermi visto seduto per terra insieme ad altri capelloni, che ero un
barbone e dal momento che dicevo di volermene andare era il caso di far
seguire alle parole i fatti. Prima che finisse di parlare ero già
in viaggio". Così Oscar Brontesi racconta come è cominciata
la sua rivoluzione. Quella che portò migliaia e migliaia di ragazzi
e ragazze di mezza Europa a girare per le strade del mondo, a conoscersi,
a fare le più svariate esperienze. Tra queste, appunto, quelle delle
"comuni agricole" che già allora vissero uno straordinario momento
di crescita, interrotto e poi ripreso, non a caso sull'onda del movimento
del 77. Furono realtà dove si fondevano la ricerca di vivere liberamente
il rapporto con la natura, la volontà di autoprodursi la fonti di
sostentamento, vivere i rapporti sessuali fuori dagli schemi prestabiliti,
l'incontro con le droghe viste come ricerca interiore e non come "consumo".
E sono le immagini a raccontarci questi percorsi, meglio di qualunque parola.
Foto in bianco e nero che ci mostrano giovani alle prese con il lavoro
nei campi, nell'atto di fare il pane, momenti di vita comunitaria, sullo
sfondo di vecchi casolari ritornati a vivere grazie alla voglia di "cambiare
le cose, iniziando a cambiare se stessi". Ma il potere che già stava
dispiegando la sua strategia sanguinaria che caratterizzerà gli
anni settanta, a partire dal 12 dicembre del 1969, si fa subito sentire
e interviene pesantemente: "I grigi poliziotti avevano cominciato a salire
per i pendii, spianando le pistole ai minorenni innamorati..." racconta
ancora Brontesi. E la "mannaia repressiva" si abbatte su queste esperienze,
in sintonia con quanto stava accadendo nel Paese.
Ma, come ci dice il sottotitolo, "Scatti in movimento", incrocia le
vicende italiane con quelle di una regione italiana come le Marche che,
apparentemente, sembrano lontane dai clamori delle piazze ( e delle campagne)
del Nord, ma dove invece si vive ugualmente momenti di rottura. Forse,
e questa è l'unica critica che ci sentiamo di fare al libro, visto
che si parla di Marche era legittimo aspettarsi una documentazione attenta
anche alle altre principali città e non solo verso Macerata e San
Benedetto del Tronto. Vicende che ci vengono raccontate attraverso le cronache
locali del Resto del Carlino, una imponente documentazione fotografica
e la testimonianza di chi si trovò a fare la propria quotidiana
rivoluzione in una città bigotta e tradizionalmente "bianca" come
Macerata. "Civitas Mariae" questa scritta sul Comune c'è oggi, come
c'era allora, racconta il "nostro" Loris Campetti. La sua testimonianza
ci narra come non fosse "comodo nascere nella Civitas Mariae per chi come
me aveva avuto la ventura di essere figlio dell'unico consigliere provinciale
del Pci, per giunta in odore di eresia "titoista". E così a Loris
poteva capitare che a scuola l'insegnante chiedesse se in classe ci fosse
qualche alunno i cui genitori leggevano l'Unità, per poi ritrovarsi
dietro la lavagna. Ma anche nella tranquilla provincia marchigiana le scosse
sessantottine arrivano e producono cambiamenti.
Le foto delle pagine del Carlino maceratese ci parlano dell'Occupazione
dell'Università, dei capelloni che usano il passaggio del famoso
"Cantagiro" (tour canoro nazionale che raggiungeva le località più
remote) che vedeva protagonisti "I capelloni allo Sferisterio". Rivolta
di costume e rivolta politica si integrarono, facendo inorridire i benpensanti
locali. Anche da queste parti viaggi on the road, circoli di poesia e musicali
fanno da preludio alla rivolta giovanile, anzi ne rappresentano il volto
più "culturale", anzi "controculturale". Poi anche nelle Marche,
come in tutta Italia, l'onda lunga del '68 si caratterizza per una impostazione
più "politica", nascono i gruppi della sinistra extraparlamentare.
Il libro ci propone immagini dei "gruppi" a Macerata dove è forte
il Manifesto e a San Benedetto del Tronto, dove invece è egemone
Lotta Continua. Pregi e difetti, slanci e miserie di quella stagione risaltano
in pieno. Le mobilitazioni antifasciste, le degenerazioni dei servizi d'ordine,
i colpi di coda della strategia della tensione che si fanno sentire anche
da queste parti con il ritrovamento de "L'Arsenale di Camerino". Fino ad
arrivare al '77, preceduto dalle feste del "proletariato giovanile", Licola,
Parco Lambro su tutte, che in realtà sono lo specchio di quella
crisi della militanza messa a nudo dal femminismo, crisi che porterà
al rapido dissolvimento dell'ormai vecchia nuova sinistra. Vecchia anche
perché incapace di farsi attraversare dall'anima libertaria e antidogmatica
di quel movimento nato in tutto il mondo a metà degli anni sessanta
che rivoltò come un calzino, per diversi anni, l'Occidente. Un fenomeno
globale, diremmo oggi, che mise in unico "brodo primordiale", le lotte
dei popoli del terzo mondo, Vietnam in primis, rivolte studentesche e giovanili,
lotte operaie, dissenso contro i regimi socialisti dell'est. La questione,
che traspare anche dal libro in questione, è perché una rivoluzione
con una forte connotazione libertaria vide prevalere filoni di ricerca
e analisi più tradizionali, condizionati spesso dal classico marxismo-leninismo
che fece rifluire su se stessi quasi tutti i movimenti nati alla fine degli
anni sessanta. Ci può mettere a posto la coscienza la risposta omicida
dello Stato che qui in Italia fu micidiale e criminale? In questo senso
l'esperienza del movimento del '77 forse racchiude questi interrogativi.
In quella breve stagione furono condensate tutte le contraddizioni del
decennio. Tra logica del "politico" dura a morire, e spinte innovative,
dissacranti ben esemplificate dal movimento degli "Indiani metropolitani".
Le parole di Pablo Echaurren, geniale protagonista di quella esperienza
( ai cui disegni è dedicata una intera sezione del libro, e la copertina
del volume ne riproduce uno molto noto), sono illuminanti:"La militanza
pure e dura, l'osservanza delle tesi, quelli con le chiavi inglesi che
non dicono mai "sorry" (e avrebbero dovuto farlo, eccome!), la base, gli
angeli del ciclostile, le segreterie nazionali, gli organi ufficiali, i
volantinaggi devastanti alle fabbriche alle cinque di mattina, i congressi,
gli ossessi del prendere la parola per non lasciarla più, gli ortodossi,
gli attivi di sezione, il cordone, il servizio d'ordine, la disciplina,
le assemblee, le mozioni, le fazioni pronte a sgrugnarsi l'una contro l'altra
per conquistare la testa del corteo, il mausoleo del Sol dell'Avvenire.
Contavano solo le nude emozioni con tutta la loro ridda di contraddizioni
dirompenti, insolenti, imbarazzanti". E ancora:"Il 77 non fu solo l'anno
del piombo e dei celerini..., fu anche l'anno del girotondo, delle facce
pitturate...fu soprattutto autonomia (con la minuscola), autonomia dai
partiti, dai gruppi, dalle macro aggregazioni, dalle mediazioni...Autonomia
dall'Autonomia Organizzata".
Probabilmente un anticipazione di quelle dinamiche di movimento che
incontreremo negli anni successivi, momentaneamente interrotta perché
massacrata dallo scontro Stato/formazioni clandestine. Ma che, come del
resto ci insegna la storia dei movimenti, ha "covato" nei territori per
poi emergere gradualmente e prepotentemente negli anni successivi. Ce lo
dice lucidamente Oscar Brontesi alla fine del suo racconto sulla Comune
di Ovada :"Nulla sarebbe stato più come prima: noi e lo spirito
di quel tempo migrammo....attraverso gli anni settanta le nostre intuizioni,
le nostre istanze di libertà, i linguaggi da noi creati si diffusero
con i movimenti di liberazione della donna, degli omosessuali, degli antiproibizionisti
e degli antimilitaristi, dei movimenti per i diritti civili, della sensibilità
ecologica...Poi le nostre idee si sono evolute in molte forme: da quella
della decrescita per vivere in armonia ed equilibrio con la natura, al
movimento cosiddetto "no global"...".
Si può discutere e magari dissentire sull'analisi che vede un
legame tra quella stagione di ribellione e i movimenti attuali. Quello
che sicuramente li accomuna è l'anima libertaria, "consiliare",
municipalista, antistatalista, "comunitaria" che, ieri come oggi, caratterizza
le moltitudini in movimento.
Sergio Sinigaglia, "il manifesto", 18 agosto 2009