Cile, l'utopia destabilizzante del Mir, il progetto di resistenza clandestina

Cannes, festival del cinema - Nella sezione Un Certain Regard, il documentario «Rue Santa Fé» di Carmen Castillo, ex dirigente insieme al marito Miguel Enriquez del Movimento della Sinistra Rivoluzionaria. Perseguitata dal regime, finì in esilio
 

Si può sopravvivere alla perdita di un grande amore e di un grande sogno? E, se sì, che ne direste di riacquistare e trasformare, oggi, in un centro sociale, o in una biblioteca della rivoluzione, con tutti i numeri della rivista comunista libertaria «El Rebelde» in bella mostra, la casetta a un piano nella periferia operaia di Santiago, in calle Santa Fé (angolo rua Portugal)?
Proprio lì, per oltre un anno, dal'11 settembre '73 al 5 ottobre '74, il Mir, ovvero il movimento più consapevole, antistalinista e radicale di «Unità popolare», e il suo leader, il medico Miguel Enriquez, organizzarono la resistenza clandestina contro la dittatura neonazista di Pinochet, finché Enriquez fu ferito a morte in un agguato di polizia, dopo due ore di scontro a fuoco.
Il Mir, radicato nelle campagne e nelle cinture operaie metropolitane, aveva appoggiato la campagna elettorale di Allende del 1970, sospendendo la lotta armata ma non le occupazioni delle terre dei latifondisti. Anzi, alcuni dei suoi militanti avevano formato la prima scorta personale (dopo due attentati) del candidato «più che socialista», pur essendo perseguitati dalla legge. Appena eletto Allende firmò l'amnistia e liberò tutti i detenuti politici della sinistra rivoluzionaria.
Calle Santa Fé sarebbe dunque più di un gesto simbolico, no? Anche perché il 5 ottobre 2004, Santiago, Valparaiso e Temuco organizzarono combattivi e affollati tributi proprio in onore del Mir, a 30 anni dall'assassino di Enriquez. E poi perché certi luoghi fisici, come quella sinistra «villa della morte», o lo stadio National dove torturarono rossi e democratici, potrebbero tornare quel che erano e riempire di concretezza emozionale e di sostanza fertile la memoria. Urlando un immenso sì alla vita, contro chi crede solo nelle più vigliacche «soluzioni finali» o nella martiriologia. Tutt'oggi non si sa ancora dove sono finiti migliaia e migliaia di ragazzi e ragazze ribelli...
Il progetto Calle Santa Fé è della compagna di Enriquez, Carmen Castillo, sopravvissuta all'agguato della Dina del '74, esiliata e rientrata nel Cile democratico solo nel 2002 (a parte una piccola parentesi per motivi familiari) che chiede oggi aiuto ai giovani militanti della sinistra antagonista cilena. Che invece nicchiano, considerano l'idea un residuo individualista dei vecchi tempi: «Meglio moltiplicare i gesti collettivi e anonimi di insubordinazione contro le classi dominanti», le risponde un «nuovo resistente», altrettanto «insolente» quanto privo di tatto.
Sono stanchi di simboli, i giovani (in fondo il Mir non esiste più dal 1989, si è autoestinto con il «comunismo reale»), e dell'invadenza dei leader anziani (anche di quelli che nel decennio '80, richiamati a volte «a forza» dall'esilio, furono i protagonisti armati di una «seconda primavera di lotta», organizzando la resistenza sociale nelle «poblaciones», per esempio confiscando camion zeppi di polli e distribuendoli gratis ai poveri, mitra in pugno, in una sequenza che sarebbe tanto piaciuta a Alberto Grifi; sconfiggendo poi Pinochet nel referendum e sbriciolandone il consenso politico, fino al ritorno della democrazia, seppur formale).
Di questo progetto, del ritorno dall'esilio, del commuovente incontro con i compagni di lotta e con i genitori, del rapporto tra «privato» e «pubblico» e dei guai anche irreversibili che i rivoluzionari del '68 (il Mir nacque nel '65) provocarono nella psiche propria e dei propri figli, ci parla un bellissimo documentario che si avvale di materiali di repertorio rari e inediti.
È una coproduzione franco-belga-cilena, sostenuta da Agnes b., la stilista che da anni fiancheggia il cinema non riconciliato, che ha permesso proprio a Carmen Castillo, ex dirigente del Mir, Movimento della Sinistra Rivoluzionaria, e poi nello staff del presidente, di girare e presentare ieri a Cannes nella sezione Un Certain Regard, Rue Santa Fé, il suo nuovo documentario politico (oltre due ore e mezza), sulla sconfitta (e a che prezzo) dell'ambizioso progetto democratico di Salvador Allende. Ma anche sulle sue irreversibili intuizioni e utopie destabilizzanti.
Oltre 30 anni, dalle canzoni degli Inti Illimani che inneggiavano all'insurrezione armata al rap contemporaneo, altrettanto bellicoso ma più spiritoso, e innervato nelle periferie di Santiago, criticati e spiegati, senza compiacimenti o autoindulgenze, e in prima persona singolare femminile, da una militante piena di sogni ma che fu anche professoressa di storia.
Nel 1974, infatti, dopo l'assassinio, il 5 ottobre, del leader trentenne del Mir, Miguel Enriquez, la sua compagna, Carmen Castillo, incinta di sei mesi, e gravemente ferita durante lo scontro armato, fu catturata ancora viva grazie alla prontezza di nervi di un vicino di casa, e strappata poi agli sgherri torturatori di Augustin Pinochet solo grazie a una vasta mobilitazione internazionale. Espulsa dal paese, perduto il bambino, Carmen Castillo iniziò un lungo esilio, fatto di manifestazioni antimperialiste, e, dal 1984, di documentari anche sul Nicaragua, Marcos, Maria Felix, indios e José Saramago.
 

Roberto Silvestri, "il manifesto", 23 maggio 2007