Carlo Rivolta, la passione di un cronista
 

Ci sono persone che sono tasselli fuori posto, vite indecifrabili secondo gli schemi correnti eppure calate nel loro tempo, immerse dentro le cose del mondo. Queste figure servono a trovare punti di vista altri, oltre il muro di gomma della storia ufficiale.
Così è la storia di Carlo Rivolta, inviato di guerra nelle terre di confine tra l’Italia che poteva essere e quella che è stata, al crocevia della storia in mezzo all’anno che è durato un decennio (il Sessantotto) e il decennio che è durato trent’anni (gli Ottanta). Quella vita viene finalmente ricostruita - con piglio letterario, rigore documentaristico e sensibilità poetica che illuminano anche i giorni nostri - da Tommaso De Lorenzis e Mauro Favale ne “L’aspra stagione”, che esce per Einaudi Stile Libero proprio in questi giorni. È un libro che leggerete come un romanzo, poi consulterete come un saggio e riprenderete in mano come un breviario dei tempi correnti.
Gli articoli e la vita del cronista di strada disegnano l’orizzonte di Roma, seguendo un metodo fatto di fiuto, sensibilità e capacità di ascolto. Rivolta, uscito dalla scuola di Paese Sera, approda alla corte di Repubblica. Il quotidiano di Piazza Indipendenza punta a tenere insieme i diversi linguaggi dell’Italia non-democristiana, a farsi portavoce di un popolo secolare in cerca di nuove libertà e desideroso di esplorare i tempi nuovi.
Non ha ancora ventisette anni, dunque, quando debutta assieme al quotidiano di Eugenio Scalfari. È il 1976. “Anno enigmatico”, scrivono gli autori. “Smarrito nelle pieghe del tempo posteriore, annesso d’ufficio alla cabala del doppio 7. Schiacciato dalla ‘geometrica potenza’ di via Fani. Già ‘verbalizzato’ e penalmente contestato in data 7 aprile ’79. E infine cancellato da trentacinque giorni ai cancelli di Mirafiori”. Si va alle elezioni anticipate per lo scandalo Lockeed. Scalfari descrive il tramonto di un “potere logoro”. Il Pci manca l’agognato “sorpasso” alla Dc. Il cartello delle sigle alla sua sinistra fallisce clamorosamente. L’Autonomia Operaia è l’unico “gruppo” ancora in salute, non un’organizzazione vera e propria ma un’area in grado di conquistare le piazze.
Rivolta racconta Roma da dentro, parte dai margini per cogliere la metropoli post-pasoliniana, una città che – annotano De Lorenzis e Favale – “ha ormai smarrito i resti della ferocia popolare e sta scoprendo nuove e più moderne crudeltà”: descrive i primi centri antidroga cogliendo prima di tutti, quando ancora è un fenomeno relativamente marginale, l’effetto devastante dell’eroina, coglie la mutazione antropologica, sempre più teppa di strada ed edonismo e sempre meno ideologia nostalgica, del nuovo fascismo, ricostruisce la drammatica rottura tra la sinistra e la gioventù “condannata alla disoccupazione”. Scrive la sua verità, sempre più spesso disturbando anche l’area dei movimenti di cui si sente parte, nonostante tutto, perché, chiosano gli autori, “Il futuro non esiste. I media si odiano. Punto”.
Seguendo il filo della scrittura tagliente ed essenziale, che alterna la voce di Rivolta, le testimonianze di chi lo ha conosciuto e una scrittura che a volte assomiglia ad un cut-up di immaginari titoli a nove colonne dei giornali dell’epoca, altre cammina lungo i sentieri del New Italian Epic e del noir mediterraneo ricostruendo i fatti del potere logoro e le piccole trame di marciapiede, si arriva al fatidico Settantasette, che comincia proprio con il ferimento degli autonomi Paolo e Daddo, proprio a due passi dalla redazione di Repubblica. Poi la giornata campale della cacciata di Lama e della rottura definitiva tra Pci e movimenti, che proseguirà con la guerra totale di Pecchioli, la strategia della fermezza durante il sequestro Moro, gli arresti indiscriminati del 7 aprile.
Dagli articoli scritti in diretta da Carlo Rivolta puntano anche squarci di luce che gettano ombre sul presente. Quella mattina del 17 febbraio, doveva tenersi un estremo tentativo di comunicazione tra il sindacato e i collettivi universitari. Solo che all’appuntamento, fissato ai cancelli della Sapienza, il rappresentante della Cgil non si presentò neppure. Si trattava, guarda un po’, del segretario del comparto della scuola Aurelio Misiti, che in anni più recenti ha sostenuto la causa del ponte sullo stretto alla Regione Calabria, per transitare in parlamento dall’Italia dei Valori in soccorso a Berlusconi nel gruppo NoiSud. In cambio diverrà sottosegretario.
Nelle parole di Rivolta sulle fiammate del Settantasette non c’è spazio per le veline delle questure o dei partiti. Il corteo del 12 marzo a Roma, quello delle P38 all’indomani dell’uccisione di Francesco Lorusso, viene descritto elogiando la “responsabilità” delle decine di migliaia di manifestanti che sono scesi in piazza e si sono sottratti al muro contro muro. Quello spazio, oltre gli schiacciasassi della repressione che ha spento una generazione spianando la strada al disastro degli interminabili anni Ottanta e del terrorismo, andava restringendosi sempre più.
Il sequestro e l’omicidio di Aldo Moro segnerà la fine del lungo Sessantotto ma anche l’esaurirsi dell’esperimento di Rivolta a Repubblica. La rottura arriva quando il cronista accetta di firmare come “direttore responsabile”, un numero di “Metropoli”, la rivista che cerca di rimettere insieme i cocci del Settantasette e che naviga pericolosamente a cavallo tra ingenue e machiavelliche relazioni con le sigle della lotta armata e raffinate analisi sui nuovi modelli di produzione, quelle che dieci anni più tardi diventeranno senso comune.
Il cronista che aveva raccontato da dentro si fa risucchiare, come migliaia di altri in fuga dalla galera e dalla vita normale, nel gorgo dell’eroina. Passa a Lotta Continua, il giornale-laboratorio di Enrico Deaglio che è sopravvissuto alla fine del gruppo di cui era organo e si propone di costruire un varco verso il decennio successivo. Ma è troppo tardi. Rivolta - che ha conosciuto la Calabria dalla casa del mare di Trebisacce, nell’alto Ionio cosentino, dove ha vissuto fino all’altro ieri sua madre e dove lui stesso verrà sepolto - progetta di costruire la mappa della società meridionale, si getta nel cataclisma del terremoto dell’Irpinia, promette di ritrovare le forze. Morirà il 16 febbraio del 1982, alla vigilia del quinto anniversario della cacciata di Lama, qualche mese prima della sbornia nazionale dei Mondiali di Spagna e all’alba del trentennio degli Ottanta.
 

Giuliano Santoro, http://temi.repubblica.it/micromega-online/carlo-rivolta-la-passione-di-un-cronista/, 31 marzo 2012