Un recentissimo libro di Aldo De Jaco merita di essere segnalato, perche’
pur essendo basato solo in parte su documenti inediti, fa pero’ largo uso
di una memorialistica oggi scarsamente accessibile ed e’ quindi molto utile
per smontare la consolidata leggenda di un sud fascista e reazionario (1).
De Jaco aveva gia’ pubblicato molti anni fa un libro sulle quattro
giornate di Napoli (fine settembre 1943), e naturalmente dedica parecchio
spazio a questa grande rivolta popolare, documentando che non fu del tutto
spontanea, e preparata da vari attacchi ai tedeschi anche prima dell’8
settembre. De Jaco analizza le complesse ragioni di una cosi’ vasta sollevazione,
identificando all’interno di essa sia i piccoli nuclei organizzati, comunisti
o di Giustizia e Liberta’, sia la partecipazione di larghe masse del tutto
spoliticizzate ma furiose per l’arroganza degli occupanti e soprattutto
per la fame, aggravata dalle continue spoliazioni naziste.
Il pregio principale del libro e’ la minuziosissima ricostruzione di
decine di episodi minori, da quello piu’ noto di Matera, (che in realta’
ebbe anch’esso una certa consistenza, tanto da costringere i nazisti a
ritirarsi e che precedette quello di Napoli di una decina di giorni) a
quella di molti altri centri della Lucania, in cui la lotta ai tedeschi
si intreccio’ a regolamenti di conti con i gerarchi fascisti locali, le
cui case furono saccheggiate distribuendo alla popolazione le scorte alimentari
che avevano accumulato. Nei molti altri casi registrati in Puglia, Calabria
ed Abruzzi, l’innesco delle rivolte antitedesche era a volta la reazione
spontanea a una requisizione di animali o di alimentari, a volte a un tentativo
di stupro. A questo proposito va precisato che effettivamente fino al 1943
l’esercito tedesco era stato il piu’ disciplinato di quanti si scontrarono
nel corso della seconda guerra mondiale, ma nel corso della ritirata precipitosa
all’Italia meridionale dopo gli sbarchi alleati, il controllo si allento’
e si registrarono sia violenze carnali sia rapine e devastazioni decise
individualmente. A questo proposito Gerhard Schreiber, in un libro uscito
contemporaneamente e che quindi De Jaco non ha potuto consultare, accenna
anch’esso a qualche caso di stupro e di rapine individuali, riconducendole
al rancore accumulato contro gli italiani dopo il “tradimento” del 25 luglio
(2). Il libro di Schreiber e’ interessante perche’ ha ricostruito
le responsabilita’ di alcuni ufficiali (anche della Wehrmacht e non solo
delle SS) che incoraggiarono questi atteggiamenti appunto per spirito di
vendetta. Il limite di questo libro e’, casomai, quello di prestare scarso
interesse ai crimini compiuti dai fascisti italiani, dato che il suo obiettivo
e’ quello di sottolineare le gravi responsabilita’ dell’esercito regolare
tedesco, evitando un’assoluzione sommaria basata sull’attribuzione di tutti
massacri (e ne documenta ben piu’ di De Jaco) alle sole SS.
Il volume di De Jaco viceversa insiste maggiormente sulle responsabilita’
italiane, e non solo dei fascisti, ma anche degli ufficiali badogliani,
e degli stessi carabinieri, che vengono abitualmente considerati schierati
in blocco con la resistenza, mentre in molti casi collaborarono con i nazisti,
o assunsero un atteggiamento ambiguo, disarmando la popolazione o rifiutando
ad essa le armi che custodivano, o anche liberando i soldati e ufficiali
nazisti catturati dagli insorti e ingenuamente affidati loro. Naturalmente
De Jaco non nasconde e anzi valorizza i casi, che pure ci furono, di partecipazione
di carabinieri ai combattimenti a fianco di militari italiani e della popolazione
in armi. Ma appunto, contrariamente alla vulgata ufficiale, l’arma non
ebbe un atteggiamento univoco. De Jaco affronta anche i molti episodi in
cui alla resistenza antinazista si intrecciarono moti sociali, che attaccavano
e distruggevano le sedi del potere, i catasti, i magazzini dove venivano
ammassate le derrate prelevate ai contadini, e giustamente le accomuna
- con qualche cautela - ai moti che accompagnarono la spedizione dei Mille,
e allo stesso brigantaggio degli anni immediatamente successivi. In ogni
caso, sottolinea, quei sommovimenti rivelavano una grande speranza di cambiamento,
che fu presto delusa, e fu determinante per lo spostamento a destra ad
esempio delle stesse masse popolari che avevano cacciato i tedeschi durante
le quattro giornate di Napoli, e che meno di tre anni dopo assaltavano
in armi la sede della federazione del PCI.
Frettolosa e insufficiente invece la ricostruzione delle lacerazioni
che portarono alla scissione del PCI napoletano e alla costituzione della
“federazione di Montesanto”, e alla rifondazione di una CGL classista nel
sud, due manifestazioni del rifiuto della “Svolta di Salerno” imposta da
Togliatti. Per questi aspetti rinviamo quindi al buon lavoro di Arturo
Peregalli, uscito da qualche tempo ma sempre valido, e che puo’ essere
letto come un testo complementare a quelli gia’ segnalati (3).
Peregalli segue infatti, su scala non solo meridionale, le molte iniziative
ispirate a una visione classista, sul terreno sociale e ancor piu’ su quello
politico (“Bandiera rossa” a Roma, “Stella Rossa” a Torino, il gruppo Repossi-Fortichiari
in Lombardia, il POC in Puglia, il MUP e i raggruppamenti bordighiani,
ecc.). Anch’esso un lavoro solo in parte originale, ma che consente di
avere un quadro generale senza ricorre ai molti lavori dedicati ai singoli
movimenti da Corvisieri, Vaccarino, ecc.
Antonio Moscato
Note:
1) Aldo De Jaco, La Resistenza nel Sud, Cronaca per testimonianze,
Argo, Lecce, 2000
2) Gerhard Schreiber, La vendetta tedesca 1943-1945. Le rappresaglie
naziste in Italia, Mondadori, Milano, 2000. De Jaco peraltro, aveva preso
conoscenza di alcuni saggi precedenti dello stesso autore.
3) Arturo Peregalli, L’altra resistenza. Il PCI e le opposizioni di
sinistra 1943-1945, Graphos, Genova, 1991.