Roberto Biorcio, Ida Farè, Joan Haim e Maria Grazia Longoni (a cura di), Massimo Gorla: un gentiluomo comunista. Cinquant’anni della nostra storia, Roma, Sinnos, 2005, pp. 286, euro 13,00
 

Massimo Gorla ha speso la propria vita nell’attività politica, negli anni che precedono e seguono il ’68. Nato nel 1933 a Milano, milita nel Psi nella corrente di Lelio Basso, poi aderisce al Pci e presto anche alla Quarta internazionale, che in quegli anni praticava l’entrismo nei maggiori partiti della sinistra. Negli anni sessanta partecipa alle riviste “Quaderni rossi” e “La sinistra”, e nel 1968 è tra i fondatori di Avanguardia operaia (Ao), poi di Democrazia proletaria (Dp), nelle cui liste viene eletto deputato nel 1976 e nel 1983. Pur trattandosi di un libro di testimonianze, non di analisi storiografiche o politologiche, ripercorrere la vita e l’attività politica di Gorla può essere utile per ragionare sul movimento del ’68, sui percorsi e sugli esiti di quel che dal ’68 è scaturito.
Riguardo alla valutazione del ’68, Roberto Biorcio si leva contro una lettura – che spesso tende a divenire senso comune – per cui quegli anni sono riassunti in una «mistura di violenze, terrorismo e ubriacatura ideologica. Oppure, in modo più benevolo, come una sorta di iniziazione per una ‘meglio gioventù’ sedotta da generose utopie, ormai approdata, in anni più recenti, alla saggezza della terza età» (p. 95). Michele Nardelli protesta invece contro quelle narrazioni per cui «la nuova sinistra fu solo violentismo e ortodossia ideologica», narrazioni  «quantomeno superficiali», quando non «profondamente ingiuste» (p. 162). Nella memorialistica su ’68 e anni ’70, i libri dei protagonisti della lotta armata sono numericamente prevalenti. Memorie e testimonianze su persone che hanno avuto altri percorsi, come Gorla, hanno il pregio di far emergere aspetti trascurati ma niente affatto “minori” di quella stagione di lotte. Sono per esempio interessanti i capitoli relativi ad Ao, che pur essendo una delle organizzazioni principali nate dal ’68, ha avuto dalla storiografia e dai media assai meno attenzione rispetto ad altre organizzazioni come Lotta continua, Potere operaio o il Pdup. Secondo Emilio Molinari, il maggior radicamento di Ao e dei Comitati unitari di base a Milano rispetto ad altre organizzazioni, come il Pdup e Lc, dipendeva dal fatto che questi ultimi si caratterizzavano rispettivamente per un eccessivo intellettualismo e per un dialogo privilegiato con l’operaio massa, mentre Ao sarebbe riuscita ad avere una presa efficace su tecnici e operai specializzati, maggioritari nella capitale lombarda.
Non è certo ambizione del libro svolgere un’analisi compiuta dei movimenti sociali degli anni settanta. Vi sono però alcuni spunti interessanti su diverse questioni centrali, come ad esempio il ruolo rivestito dal ’68 nel rinnovare la cultura politica. Quali sono state le conseguenze di quelle lotte che volevano «criticare la sinistra tradizionale, per un pensiero e una pratica che producessero davvero qualcosa di nuovo» (Maria Grazia Longoni, p. 149)? Maitan mette in evidenza nel percorso di Gorla gli elementi del patrimonio politico di filoni minoritari del movimento operaio, come il trockijsmo. Nardelli invece vede una evoluzione che, da filoni eterodossi del movimento operaio (socialismo di sinistra, trockijsmo), porta Gorla, con l’approdo a Dp, ad una sintesi con «quanto andava emergendo di innovativo anche se esterno al movimento operaio… femminismo, ambientalismo, non violenza, teologia della liberazione, garantismo» (p. 191).
 

Fabrizio Billi, "Zapruder - storie in movimento", n. 16, maggio - agosto 2008