Massimo Gorla ha speso la propria vita nell’attività politica,
negli anni che precedono e seguono il ’68. Nato nel 1933 a Milano, milita
nel Psi nella corrente di Lelio Basso, poi aderisce al Pci e presto anche
alla Quarta internazionale, che in quegli anni praticava l’entrismo nei
maggiori partiti della sinistra. Negli anni sessanta partecipa alle riviste
“Quaderni rossi” e “La sinistra”, e nel 1968 è tra i fondatori di
Avanguardia operaia (Ao), poi di Democrazia proletaria (Dp), nelle cui
liste viene eletto deputato nel 1976 e nel 1983. Pur trattandosi di un
libro di testimonianze, non di analisi storiografiche o politologiche,
ripercorrere la vita e l’attività politica di Gorla può essere
utile per ragionare sul movimento del ’68, sui percorsi e sugli esiti di
quel che dal ’68 è scaturito.
Riguardo alla valutazione del ’68, Roberto Biorcio si leva contro una
lettura – che spesso tende a divenire senso comune – per cui quegli anni
sono riassunti in una «mistura di violenze, terrorismo e ubriacatura
ideologica. Oppure, in modo più benevolo, come una sorta di iniziazione
per una ‘meglio gioventù’ sedotta da generose utopie, ormai approdata,
in anni più recenti, alla saggezza della terza età»
(p. 95). Michele Nardelli protesta invece contro quelle narrazioni per
cui «la nuova sinistra fu solo violentismo e ortodossia ideologica»,
narrazioni «quantomeno superficiali», quando non «profondamente
ingiuste» (p. 162). Nella memorialistica su ’68 e anni ’70, i libri
dei protagonisti della lotta armata sono numericamente prevalenti. Memorie
e testimonianze su persone che hanno avuto altri percorsi, come Gorla,
hanno il pregio di far emergere aspetti trascurati ma niente affatto “minori”
di quella stagione di lotte. Sono per esempio interessanti i capitoli relativi
ad Ao, che pur essendo una delle organizzazioni principali nate dal ’68,
ha avuto dalla storiografia e dai media assai meno attenzione rispetto
ad altre organizzazioni come Lotta continua, Potere operaio o il Pdup.
Secondo Emilio Molinari, il maggior radicamento di Ao e dei Comitati unitari
di base a Milano rispetto ad altre organizzazioni, come il Pdup e Lc, dipendeva
dal fatto che questi ultimi si caratterizzavano rispettivamente per un
eccessivo intellettualismo e per un dialogo privilegiato con l’operaio
massa, mentre Ao sarebbe riuscita ad avere una presa efficace su tecnici
e operai specializzati, maggioritari nella capitale lombarda.
Non è certo ambizione del libro svolgere un’analisi compiuta
dei movimenti sociali degli anni settanta. Vi sono però alcuni spunti
interessanti su diverse questioni centrali, come ad esempio il ruolo rivestito
dal ’68 nel rinnovare la cultura politica. Quali sono state le conseguenze
di quelle lotte che volevano «criticare la sinistra tradizionale,
per un pensiero e una pratica che producessero davvero qualcosa di nuovo»
(Maria Grazia Longoni, p. 149)? Maitan mette in evidenza nel percorso di
Gorla gli elementi del patrimonio politico di filoni minoritari del movimento
operaio, come il trockijsmo. Nardelli invece vede una evoluzione che, da
filoni eterodossi del movimento operaio (socialismo di sinistra, trockijsmo),
porta Gorla, con l’approdo a Dp, ad una sintesi con «quanto andava
emergendo di innovativo anche se esterno al movimento operaio… femminismo,
ambientalismo, non violenza, teologia della liberazione, garantismo»
(p. 191).