Tradotto e pubblicato in Italia qualche mese fa, il libro "Piqueteros"
(DeriveApprodi, gennaio 2003) affronta le vicende argentine degli ultimi
due anni alla luce delle recenti teorie di Toni Negri e del suo entourage.
Gli autori scrivono a nome del Colectivo Situaciones, un gruppo argentino
che si richiama proprio alle bizzarre interpretazioni del teorico di riferimento
dei “Disobbedienti” di casa nostra.
Il libro si sofferma quasi prioritariamente - e non a caso - sulle
giornate del 19 e 20 dicembre 2001 : la narrazione è a tratti indubbiamente
suggestiva, ravvivata da testimonianze dirette di chi quelle giornate ha
vissuto con emozione. Sennonché, le pretese del libro non sono certo
letterarie, ma hanno (o vogliono avere) una valenza politica. Scopo dichiarato
dello scritto è quello di conferire alle giornate di dicembre un
significato “simbolico” che le vorrebbe emblemi di una presunta “interruzione
spaziale e temporale irreversibile” e anticipatrici di una “nuova modalità
dell’intervanto politico”. Detto in altre parole, le manifestazioni di
quei giorni avrebbero segnato una cesura che impedirebbe di pensare il
superamento dell’oppressione capitalistica nei termini “classici” della
rivoluzione e della presa del potere.
Servendosi di una banalizzante quanto ostica miscela delle teorie filosofiche
più in voga nei salotti del “postmoderno”, i nostri autori saltellano
con scioltezza da forbite fenomenologie della conoscenza a “situazionismi”
vari, da elogi sperticati del filosofo Spinoza alla scoperta “rivoluzionaria”
(sic!) della “valenza politica dell’etica”. Ma non si abbatta il lettore
inesperto di linguaggi “post-foucaultiani”: se riuscirà a districarsi
nelle pagine fitte di copiose descrizioni dei dispotici meccanismi del
“biopotere” e a resistere alla tentazione di chiudere il libro disarmato
di fronte al timore d’esser vittima d’una logica di pensiero avversa alla
moltitudo, troverà - scavando scavando - che dietro il sipario di
complesse argomentazioni si nasconde una teoria piuttosto semplice e ben
nota dell’agire politico.
La reiterata insistenza sul concetto di “situazione” - intesa anzitutto
come impossibilità di inquadrare e interpretare univocamente la
realtà dei fatti con l’intento di agire sulla stessa - porta acqua
al mulino del rifiuto aprioristico di pensare ad un esito rivoluzionario
delle lotte argentine. L’assunto che sta alla base del libro, il vero nocciolo
dal quale si dispiega la gran parte delle colorite argomentazioni, è
proprio questo: le esperienze di lotta argentine vanno lasciate in balia
dello sviluppo spontaneo, va rimosso il problema del potere e, soprattutto,
è illegittimo qualsiasi sforzo che vada nel senso di dotare le esperienze
di autorganizzazione di una direzione rivoluzionaria.
Non a caso, a dispetto del titolo dell’edizione italiana, si considerano
momento discriminante le due giornate che hanno visto l’esplosione delle
manifestazione di piazza, ponendo in secondo piano la necessità
d’inquadrarle nel più vasto processo rivoluzionario argentino: movimento
piquetero, movimento delle fabbriche occupate, assemblee popolari. Solo
a queste ultime viene concesso un ruolo importante, purché intese
come espressione di una “moltitudine” in grado di costruire spazi di socialità
liberata qui e ora, indipendentemente dalla messa in discussione del sistema
capitalismo nel suo complesso. Il fine cui tende il libro è lampante
e esplicito: negare la legittimità di quel processo di trasformazione
rivoluzionaria che ha come momenti imprescindibili l’esproprio dei capitalisti
e la presa del potere da parte dei lavoratori.
Le assemblee popolari, le esperienze di autorganizzazione argentina
che, nonostante l’esito elettorale delle recenti presidenziali, ancora
resistono -seppure nella forma embrionale che le ha caratterizzate fin
dall'inizio- agli occhi dei marxisti rivoluzionari appaiono esperienze
preziose in vista di un fine che possa estenderle, garantirle e consolidarle,
ovvero l’abbattimento del capitalismo. I compagni del Colectivo Situaciones
sono di un altro avviso: si tratta di esperienze che vanno lasciate a se
stesse, lasciate prive di qualsiasi organizzazione, disincentivate dall’avanzare
piattaforme rivendicative radicali e dall’alzare quindi le pretese nei
confronti del potere statale. Solo nell’ingessare i momenti di “contropotere”
(per utilizzare un’espressione cara al post-operaismo) alla propria inefficacia
e alla mancata incidenza sulle dinamiche politiche gli autori del libro
vedono la possibilità di una presunta liberazione immediata. Nell’abbandonare
il movimento all’assenza di prospettive ed esiti realmente anticapitalistici
vedono una preziosa e vitale “esperienza di autoaffermazione”, una “riscoperta
delle potenze popolari”: poco importa evidentemente che le classi dominanti
restino alla guida della produzione e dello Stato.
Del resto, altra teoria accettata come presupposto non bisognoso di
dimostrazione sin dalle prime pagine del libro è quella - trita
e ritrita - che lo Stato non conti più nulla - o quasi nulla - nella
gestione e regolazione delle dinamiche del capitale: il mercato si sarebbe
completamente autonomizzato nei confronti delle istituzioni politiche.
Benché i fatti ci dicano che le cose non stanno esattamente così
(tanto che anche i ministri più convinti delle magnifiche sorti
del neoliberismo sono costretti a ripescare forme di intervento statale
nell’economia per far fronte alla recessione) i nostri autori, forti dell’auctoritas
negriana, si ostinano nel considerare la fine del ruolo degli Stati nazionali
un’evidenza indubitabile. Da qui, ne viene altro foraggio alla critica
del programma rivoluzionario di molti gruppi piqueteri e delle organizzazioni
politiche che, come il Partido Obrero, ritengono che solo una prospettiva
realmente anticapitalistica possa offrire un esito possibile alle lotte
argentine. Il potere statale non conta più nulla quindi è
inutile prendersi la briga di affrontarlo di petto: questo, in soldoni,
il ragionamento di chi ha scritto questo libro .
Ma se non è lecito - anzi è una terribile violenza nei
confronti della vitalità delle masse - porsi progetti di superamento
del capitalismo e di resistenza nei confronti del potere statale, dove
risiede dunque secondo i nostri autori la possibilità di un riscatto?
La risposta (udite udite) è semplice: nell’Etica con la e maiuscola,
quella che “inizia col non considerare l’altro come un oggetto”. Per liberarsi
dell’oppressione capitalistica basta “creare vincoli sociali” fondati sulla
buone disposizioni dei corpi e delle individualità portatrici di
“domanda etica”. Verrebbe da dire che qualcuno l’aveva già detto
2000 anni fa e che non c’era forse bisogno d’affastellare tante teorie
diverse per arrivare a scoprire che la liberazione sta in una scelta morale
.
C’è tuttavia un motivo per cui vale la pena di leggere questo
libro. Nonostante gli sforzi del Colectivo Situaciones - che ha comunque
il merito di aver partecipato attivamente ai momenti di autorganizzazione
assembleare -di costringere i movimenti nelle strette d’una lettura apolitica,
il carattere radicale e avanzato delle lotte argentine emerge tra le righe
del discorso. Ne è una prova il fatto che obiettivo polemico costante
e prioritario degli autori sono le posizioni da loro definite “classicamente
rivoluzionarie”, ovvero che considerano la presa del potere da parte del
proletariato quale momento imprescindibile per la costruzione di un altro
mondo possibile. Se ne ricava la netta percezione di quale livello abbia
raggiunto il dibattito nel movimento argentino, dove parole d’ordine anticapitalistiche
sono all’ordine del giorno. Per fare un esempio paradossale, proviamo a
immaginare un libro avente a tema il movimento dei social forum in Italia
che si confronti prioritariamente con le posizioni del marxismo rivoluzionario:
non sarebbe forse indice di un avanzamento in senso anticapitalistico del
movimento no-global? La radicalità raggiunta dal movimento argentino
dal punto di vista delle piattaforme rivendicative è invece tanto
reale che emerge addirittura dalle parole di chi è profondamente
contrario all’idea stessa di “piattaforma rivendicativa”. Tutto questo
c’induce a sperare che l’esito delle elezioni presidenziali, nettamente
favorevole alla borghesia, non abbia segnato - come i cantori del capitalismo
si sono affrettati a proclamare a gran voce - la conclusione di questo
straordinario ciclo di lotte.
Fabiana Stefanoni