Nuovi attacchi a «La prima linea», il film sugli anni
'70 che De Maria sta girando dal romanzo di Sergio Segio
All'inizio c'è Miccia corta, il romanzo (Derive&Approdi)
in cui Sergio Segio, nome di battaglia «comandante Sirio»,
tra i fondatori di Prima Linea, racconta gli anni Settanta, le lotte, i
movimenti, cosa portò alla scelta della lotta armata, le stragi
istituzionali e fasciste concentrandosi su una giornata, il 3 gennaio del
1982, quando il gruppo attaccò il carcere di Rovigo per liberare
quattro compagne tra cui Susanna Ronconi che Segio aveva sposato in carcere.
Il crollo del muro uccise per sbaglio Angelo Furlan, un pensionato che
era uscito col cane. Però alla notizia del film la figlia di Furlan,
Maria Teresa, aveva detto che sì, che dovevano farlo, lei i terroristi
li aveva perdonati...
Eppure quando il progetto di Miccia corta, film divenuto La prima linea
(produce la Lucky Red con la regia di Renato De Maria), è arrivato
al ministero si è scatenato, come sempre ogni volta che si toccano
gli anni Settanta, il putiferio.
Il ministro Bondi dapprima sembrava deciso a rifiutare il finanziamento,
poi c'era stata una seduta straordinaria, il 19 settembre, a cui avevano
partecipato gli autori, la produzione, le associazioni dei familiari delle
vittime del terrorismo, che aveva rinviato ancora la decisione chiedendo
nuove modifiche alla sceneggiatura.
Infine il 19 dicembre scorso il film aveva ottenuto il finanziamento
ministeriale di 1,5 milioni di euro. Le ragioni, spiegate nelle note sul
sito del ministero stesso, sono sostanzialmente legate al valore della
sceneggiatura di Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile (31 punti
su 35 di massimo), di cui si apprezzavano i cambiamenti fatti raccogliendo
le richieste delle associazioni e del ministero stesso. Che ha imposto
comunque altre condizioni tipo comunicare ogni variazione, il divieto di
partecipare alla promozione del film per i protagonisti reali (quindi Segio
e Susanna Ronconi), ai quali non deve andare nessuno provente.
Il comune di Milano, intanto, aveva concesso un patrocinio visto che
la storia si svolge anche nel capoluogo lombardo e molte scene saranno
girate lì . Però dopo nuove proteste di familiari e politici
lo ha ritirato. « Non ci ho dormito la notte su quella delibera...
Pensavo che i problemi coi familiari delle vittime fossero stati chiariti»
ha dichiarato Giovanni Terzi, assessore al tempo libero per il comune di
Milano. Plaude la decisione, invocando Bondi a fare lo stesso, il procuratore
Armando Spataro, coordinatore del dipartimento antiterrorismo alla procura
di Milano. Supportato ieri (sul Corriere della sera) da altre voci, che
polemizzano con la scelta di fiction della storia con il troppo bello Riccardo
Scamarcio nel ruolo di Segio (ma non è che uno brutto equivale lombrosianamente,
e per fortuna, a uno cattivo) e Giovanna Mezzogiorno in quello di Susanna
Ronconi.
Tutta questa storia, purtroppo, suona come un copione abusato, pronto
ogni volta che si parla degli anni settanta, il «grande tabù».
È accaduto anche la scorsa estate, con il film di Gianfranco Pannone,
Il sol dell'avvenire, ispirato alla storia dell'ex-br Franceschini, lì
Bondi aveva minacciato nuove regole di censura preventiva. E anche a sinistra
si preferisce assecondare i cori ipocriti, con quell'aria grave sfoderata
in queste occasioni di cose che non si possono pronunciare, temibili, tutte
sbagliate. Per questo è sempre più insopportabile, e pericoloso
visti i metodi dinsinvolti dell'attuale classe politica al governo. Inoltre:
come si fa a giudicare un film senza vederlo, anzi prima di girarlo?
Non che il cinema italiano sia immune da queste ansie, ogni volta che
si fa un film su quegli anni è sempre brutto, o autocensorio, come
se i registi, anche i più lucidi, fossero paralizzati (in questo
senso il migliore resta La tragedia dell'uomo ridicolo di Bertolucci).
Per conoscere gli anni settanta bisogna vedere i film di chi li raccontava
in contemporanea - infatti semiclandestini e mai «studiati»
da quasi nessun nostro regista - da Grifi a Antonello Branca, dove di quel
periodo si vedono conflitti, contraddizioni, e soprattutto viene restituita,
come nel libro di Segio, anche se con scelte politiche diverse, la violenza
di stato contro operai, studenti, e dissenso (non solo armato) che non
si può cancellare quando se ne parla. Anni di lotte non solo di
pallottole come la strumentale retorica di oggi continua a dire. Gli anni
settanta sono molto di più dell'equazione terrorismo/lotta armata,
forse per questo un film così doveva essere «indipendente»,
e in realtà, se non avesse ottenuto i finanziamenti di Rai Cinema
e Medusa, più Sky per i diritti pay-per-view, poteva essere interamente
prodotto all'estero, visto che è appoggiato da Euroimage e gode
della coproduzione, al 20% dei fratelli Dardenne. Però non sarebbe
giusto. Perché la questione fondamentale resta una sola: non è
possibile che in Italia venga cancellata la libertà di raccontare.
Che l'immaginario - già non vivissimo - debba essere appiattito
su cose gradevoli, o lacrimose o piatte, basta che non diano fastidio,
che non tocchino la contemporaneità, che non provochino dubbi, domande,
diversa conoscenza. Quindi Gomorra che non è sopportabile perché
offre una cattiva immagine dell'Italia, e se è un buon film conta
poco salvo dopo averlo attaccato scandalizzarsi per la mancata nomination
agli Oscar.
Gli autori di La prima linea hanno scelto per ora il silenzio. Li capiamo,
si creerebbero discussioni inutili sul niente. Vedremo il film, li ascolteremo
al momento giusto.
Sergio Segio ha pagato la sua pena con ventidue anni di carcere. Non
è che riflettere su logiche e motivazioni di un passato così
vicino, e appunto così irrisolto, significhi mancanza di rispetto
per le vittime. Anzi. È un fatto di cultura e di conoscenza, cose
queste sì molto svalutate da noi oggi.
Cristina Piccino, "il manifesto", 6 marzo 2009