(E poi, tutti abbiamo amato Genova; hanno ammazzato un ragazzo sparandogli in faccia hanno picchiato e massacrato, e prima ancora avevano edificato una zona rossa per dividere il paradiso artificiale dall’inferno reale. Eppure Genova c’è entrata dentro...Ci torniamo spesso, tutti.)
Carlo Panella ci narra della sua Genova. Boccadasse: “...ansa del mare,
oasi di case dai mattoni corrosi dal salmastro, nella striscia di cemento
impermeabile che è la mia città...” Ci narra dei suoi amori,
delle sue case: “... provate a dimenticarla una casa così, vi entra
nel sangue. Centottantanove scalini, tutti fatti la mano nella mano con
lei, mio primo amore...”.
Prima del 68 un cartello irrompe nella vita di Carlo e, in qualche
modo, la cambia. Il cartello indica il divieto di balneazione. Un ragazzo
di sedici anni si chiede: dopo il mare a chi toccherà? E tutto forse
inizia da lì, da quel perché al quale non sa trovare una
risposta. Molte risposte invece, deformate in gergo d’ufficio, vengono
trascritte nei verbali d’interrogatori in questure e caserme. A D. R. (A
Domanda Risponde...), ma le risposte riportate sono così diverse
dalla realtà narrata; e tutto si trasforma in un discorso apparentemente
lineare, credibile, ma svuotato di sentimenti ed ideali.
Perciò, in questo “verbale”, Panella amplia le risposte
riportate nei verbali d’interrogatorio; spiega a se stesso e a noi ciò
che accade a Genova e soprattutto a lui, prima durante e dopo il sessantotto.
E dunque un ragazzo all’uscita da scuola si chiede chi e perché
ha distrutto il suo mare; successivamente si porrà altri perché.
Perché una legge proibisce (fino al 1971) l’uso di contraccettivi;
e perché un membro del partito comunista spagnolo viene condannato
a morte mediante garrotta; e perché viene bombardato il Vietnam...
E poi, già l’anno prima del 68, Carlo Panella e la sua generazione
cercano di costruirsi delle risposte. Alcune risposte sono là, nelle
assemblee, nell’occupazione della facoltà universitaria, nel distribuire
volantini fuori dalle tante fabbriche, in una città come Genova,
che puzza d’industria e sa dappertutto di operai... E improvvisamente con
dolore quasi fisico, il capire che non è l’io, il soggetto della
protesta, e dunque non l’indignazione l’etica la libertà personale,
ma il coinvolgimento di tutti, il riportare ogni cosa ad un altro grande,
mitico protagonista: la classe operaia.
Il 4 marzo 1972 la Questura di Genova autorizza un concentramento in
una piazza ed un comizio da tenersi in un’altra piazza (entrambi per chiedere
la liberazione dell’anarchico Pietro Valpreda), ma proibisce ai manifestanti
di recarsi da una piazza all’altra tutti assieme. I fatti non si svolgono
ovviamente, come la Questura ha indicato... Inizia da qua la fuga, la latitanza
di Carlo Panella. Verrà condannato, ricercato, “iscritto” alle Brigate
Rosse e, in appello, verrà assolto... ma in lui rimarranno, incubi
ed angoscia e paura...
Poi un giorno, molti anni dopo il 68, Carlo Panella tornerà
nella sua Genova, a Boccadasse (era stato scritto in un verbale d’interrogatorio:
Boccadasse non trattasi di nome in codice o coperto di duplicità
di significato, né di epiteto ingiurioso. Trattasi di località
fattualmente compresa nello stradario della città di Genova). Vent’anni
dopo, Carlo tornerà a gironzolare per quel mare che lo battezzò
a Boccadasse; tornerà a giocare con i polipi ed a cercare le conchiglie.Gli
resteranno, come amici, una gracula dal nome Romolo, una tribù di
gatti e altri amici. Amici che si ritrovano in un circolo assolutamente
esclusivo, a Firenze, in una casa le cui mura stan lì dal 400. Pagano
molto, quegli amici, per aver diritto a partecipare, una volta all’anno,
a quell’incontro, come in uno dei più esclusivi club anglosassoni.
Pagano.
Pagano per estinguere il debito residuo del fallimento commerciale
di Lotta Continua quotidiano. Pagano gli alimenti ad una storia che era
iniziata con la rivoluzione da farsi. E questo è il fascino del
naufragio. I sopravvissuti, come fossero benedetti dagli dei, continuano
a vivere in una sorta di stato di grazia e pagano affinché non rimanga
macchia sul nome di famiglia; e... sperano in cuor loro che, da un’altra
parte, un’altra baleniera stia armando le vele...
Elisabetta Caravati