Venerdì 30 gennaio (scorso, ndr), al tg 5 delle 13.00, il giornalista
Toni Capuozzo in collegamento dal Brasile, commenta le ultime dichiarazioni
del governo italiano circa la mancata estradizione di Cesare Battisti,
ex militante dei PAC (Proletari armati per il comunismo), ed elenca i nomi
di una serie di latitanti italiani che abiterebbero ancora in Brasile tra
cui l'anarchico Pasquale Valitutti. "Lello" Valitutti da molti anni abita
a Roma e partecipa, nonostante le sue gravi condizioni di salute, insieme
a Licia Rognini, alle iniziative in memoria dell'amico e compagno Pino
Pinelli. Citato più volte nell'ultimo libro di Adriano Sofri (La
notte che Pinelli, Sellerio editore) Valitutti è, tra i numerosi
militanti anarchici fermati, l'unico testimone ancora in vita di quella
drammatica notte del 15 dicembre 1969 quando, dalla finestra del quarto
piano della questura di Milano, venne "suicidato" Pinelli. Valitutti racconta
così, il 18 marzo 2004, nel corso dell'iniziativa "verità
e giustizia" promossa dal circolo anarchico milanese "Ponte della Ghisolfa"
e dal Centro Sociale Leoncavallo, la sua verità: "Da questo corridoio
passano, portando Pino, Calabresi e gli altri, e vanno nella stanza vicino.
Chi dice che Calabresi non era in quella stanza sta mentendo, nel più
spudorato dei modi. Calabresi è entrato in quella stanza, è
entrato insieme agli altri, nessuno è più uscito. Io ve l'assicuro,
era notte fonda, c'era un silenzio incredibile, qualunque passo, qualunque
rumore rimbombava, era impossibile sbagliarsi, lui era in quella stanza.
Dopo circa un'ora che lui era in quella stanza, che c'era Pino in quella
stanza, che non avevo sentito nulla, quindi saranno state le 11 e mezzo,
grosso modo, in quella stanza succede qualcosa che io ho sempre descritto
nel modo più oggettivo, più serio, scrupoloso, dei rumori,
un trambusto, come una rissa, come se si rovesciassero dei mobili, delle
sedie, delle voci concitate".
Il racconto che fa Valitutti di quella sera è sempre lo stesso.
Negli ultimi 39 anni non è mai cambiato di una virgola, al contrario
delle versioni riferite ai magistrati dalla maggior parte degli altri testimoni
presenti nella stanza che hanno cambiato più volte versione, mettendo
in discussione persino il rapporto firmato dal Commissario Capo di P.S.
Dr. Allegra, redatto lo stesso giorno della tragedia e riportato integralmente
da Adriano Sofri alle pagine 85 e 86 del suo libro. Un'altra volta, e precisamente
nel 2002, Valitutti è stato chiamato in ballo in modo errato. Questa
volta non a causa di una svista di un giornalista inviato in Brasile, ma
dal giudice Gerardo D'Ambrosio, (all'epoca dei fatti titolare dell'inchiesta)
che in un'intervista al settimanale del Corriere della Sera, "Sette", rispondendo
ad una domanda del giornalista ha dichiarato testualmente: "poi, ottenni
un'altra prova sull'innocenza di Calabresi". Quale? domanda il giornalista.
"La testimonianza di uno degli anarchici fermati, Pasquale Valitutti: aveva
visto Calabresi uscire dalla stanza prima che Pinelli cadesse". La risposta
di Valitutti fu immediata. In una lettera scritta all'allora direttore
del quotidiano "Liberazione", Sandro Curzi, pubblicata in data 17 Maggio
2002 dichiarò: " Caro Direttore, leggo su "Sette", settimanale del
"Corriere della Sera" in edicola oggi, un servizio che rievoca la vicenda
Calabresi a trent'anni dall'omicidio del commissario, con un'intervista
al procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio che mi chiama personalmente
in causa. Vedo, ancora una volta, distorta la verità. Io sono l'anarchico
Pasquale Valitutti e ho sempre sostenuto il contrario. Lo ripeto a lei
oggi: Calabresi era nella stanza al momento della caduta di Pinelli. Se
tutto è ormai chiaro, come dicono, perché continuare a mentire
in questo modo vergognoso sulla mia testimonianza? Io sono ormai stanco,
malato e fuori da qualsiasi gioco. Ma alla verità non sono disposto
a rinunciare". "La memoria può tradire chiunque - afferma Sofri
a pag. 87 del suo recente libro - ma l'inversione dei ricordi di D'Ambrosio
deve almeno avvertire a non alzare troppo leggermente le spalle di fronte
alla testimonianza di Valitutti. Se alla sua memoria tradita la testimonianza
scagionatrice di Valitutti appare così importante, dev'esserlo un
po' anche nella sua versione autentica. Tutte le testimonianze successive
alla morte di Pinelli vanno considerate con una misura in più di
cautela. E' così per Valitutti, o per le persone amiche che riferiscono
delle minacce che Pinelli avrebbe ricevuto da Calabresi e Allegra. Tuttavia
la cautela non può significare una liquidazione di queste testimonianze,
come se fossero meno attendibili di quelle della polizia - anche loro regolate
sul fatto che intanto Pinelli è morto". Nel libro di Sofri vi sono
molte suggestioni, tra verità storiche e giudiziarie, ipotesi giornalistiche
e analisi politiche emergono alcuni dati incontestabili che occorre per
amore di verità ricordare: in quei giorni i diritti democratici
furono di fatto sospesi. I "fermati" vennero trattenuti oltre i termini
di legge, nessun magistrato venne avvertito del fermo entro le 48 ore.
Alla famiglia Pinelli ed ai suoi legali e periti non fu permesso di assistere
all'autopsia.
Bruno Vespa in una trasmissione televisiva ricordando le vittime del
terrorismo dimenticò di citare Pinelli, e fu proprio Adriano Sofri
che lo fece rilevare immediatamente e sottolineò, con altrettanta
chiarezza, che in tutti questi anni mai nessuna autorità dello Stato
si è premurata di bussare alla porta della famiglia Pinelli per
chiedere semplicemente se Licia e le sue due bambine Silvia e Claudia avessero
bisogno di qualcosa. E' proprio vero, in una bellissima canzone dal titolo
"Avec le temps", Leo Ferrè racconta che con il tempo tutto si dimentica
"non ricordi più il viso non ricordi la voce, quando il cuore ormai
tace a che serve cercare". Ma il cuore di molti non tace, l'unico testimone
vivente, in tutti questi anni, è diventato plurale e sono adesso
in tanti a chiedere a chi era in quella stanza di parlare, di dire la verità
sulla morte del ferroviere anarchico.