Giovane donna con un braccio per aria
Ritratto di ragazza in mezzo a una virilità presa dai suoi compiti storici. La rivolta femminile contro i costumi dei giovani uomini: il fiore della vittoria, il credito del cambiamento
 

Ai pittori di una volta e oggi ai fotografi è sempre piaciuto fare ritratti di donne, Giovane donna davanti allo specchio, Donna che scrive una lettera, Dama con ermellino, Signora seduta con amici in piedi, e così via. Questa, come la chiamiamo? Giovane donna con un braccio per aria? È una foto del famoso Maggio francese. Arrivati per ultimi, dopo gli americani, i tedeschi, gli italiani, gli inglesi non so, i francesi si sono bellamente impadroniti della cosa, le hanno dato il nome, il Sessantotto (noi altri, veramente, avevamo cominciato prima) e perfino un mese, il mese della Madonna, il più bello dell'anno nel nostro clima. A loro fa così piacere, oltre che lo fanno bene, come lo champagne.
Il ritratto che stiamo guardando, s'indovina che è stato inventato lì sul momento, ma non rubato, ed è questa combinazione il suo bello, la ragazza è arrivata alla manifestazione senza premeditazione, con un presentimento appena, ha visto il fotografo, ne ha intuito l'intenzione, gli ha fatto intendere "ci sono", si è messa in posa, tutto in un lampo e la fotografia era fatta. Ed ecco il ritratto di lei, distaccata, per un attimo ma definitivamente, da quello che la circondava, che è finito in ombra o fuori dal quadro.
Tutto il contrario dalla vasta e impressionante visione della battaglia di Valle Giulia, commentata da Alessandra Bocchetti che l'aveva ripresa, e pubblicata sul manifesto dell'1 marzo scorso in apertura di questa serie di foto del Sessantotto, dove "tutto" è dispiegato, il luogo, le forze in campo, i fronti contrapposti e le rispettive intenzioni (se avete guardato bene, avrete visto anche, nella piega della schiena, la paura di alcuni dei poliziotti, quelli sulla gip di destra), e questo "tutto" ci appare angosciosamente gravato da cose che stanno per accadere. In questa foto, al contrario, quello che doveva succedere, è lì, felice, il resto è contorno. S'indovina che siamo in una piazza, sul fondo c'è un edificio di nobile fattura, qualcosa di neoclassico; dai vestiti di lei, cuffia di lana e manica di camicia, si suppone che non siamo né d'estate né d'inverno (il maggio parigino va a pennello), due gruppi umani si fronteggiano a distanza ultra ravvicinata, occhi negli occhi; quelli che vediamo di spalle, anche qui, sono gli uomini in divisa, messi in doppia fila, la divisa non è italiana, potrebbe essere dei corpi speciali della polizia francese, giacca di cuoio e berretto tipo bustina, profilato in cuoio: non sono dunque in assetto antisommossa, e forse stanno a guardia di un luogo o di una cerimonia che gli altri vorrebbero occupare o disturbare pacificamente. Ma non potrebbero essere, questi altri, molto banalmente, persone che fanno la fila? No, la posizione dei corpi lo esclude come anche lo sguardo dell'uomo a destra, un bel viso maschile i cui occhi sono duramente puntati sull'uomo in divisa che ha di fronte.
In mezzo a questa virilità tutta compresa nella serietà dei suoi compiti storici e quasi rabbuiata in viso, la figura di lei spicca lucente e serena, sembra un volatile che batte un'ala per prendere il volo, la trattiene la massa scura dei corpi. Da questa emerge solo con il braccio destro e buona parte del viso: ha tratti ben disegnati, grandi occhi, sopracciglia marcate, naso regolare, grande bocca, guance tonde e rialzate, un bel viso incorniciato da capelli scuri coperti da una cuffia di lana chiaroscura. Che mi porta, di colpo, dolorosamente, un'immagine che è nella sequela del Sessantotto (scusate la parola troppo rara, ma ci voleva), quella della giovanissima protagonista di un'ultima impresa delle Brigate rosse, a Roma, nel 1986, si chiamava Wilma Monaco, altre vittime non ricordo che ci furono: il suo viso seminascosto tra il cappotto e l'asfalto, gli occhi chiusi, la testa coperta da una cuffia di lana, anche lei, che non aveva neanche l'età di questa.
La ragazza di Parigi, schivando gli occhi di quelli che ha di fronte, rivolge lo sguardo a qualcuno che si trova al di qua dell'immagine, allora era il fotografo, ora siamo noi. Non ci sta salutando, ci guarda con l'aria di voler comunicarci o mostrarci qualcosa. Naturalmente, quello che più colpisce, è il braccio alzato, la cui vista mi ha fatto venire in mente una miriade di situazioni, i bambini nella classe di una maestra che frequento, quando sanno la risposta, la capocomitiva quand'è sprovvista di ombrellino, il tedoforo delle Olimpiadi, la statua della Libertà a New York che giusto i francesi hanno regalato agli americani, la persona perduta tra i flutti del mare per segnalare la sua esistenza ad un'imbarcazione di passaggio, il pugile vincitore alla fine dell'incontro, le tombole in piazza, tanti anni fa, quando uno o una segnalava di avere vinto, ambo, tris, quaterna, cose così. Lei, perché? Forse per il fiore. Infatti, il braccio tiene in alto, senza stringerlo, fra tre dita, un fiore bianco delle dimensioni di un ranuncolo, il cui esile gambo le attraversa il palmo.
Era un'usanza delle anime belle, offrire fiori ai poliziotti, e delle canzoni pacifiste, metterli nelle bocche dei cannoni. Questo unico fiore, al sommo del braccio sollevato, nella mano dischiusa, impedisce che questa si stringa a pugno e sta al posto di una bandiera. E mi porta un'altra immagine, molto distante ma precisa nel particolare comune, un'icona bizantina del 1637, di Maria bambina in braccio alla madre sant'Anna cui porge un fiore, una margherita, tenendola anche lei fra pollice, indice e medio, le altre due dita ripiegate. Dietro all'immagine, si affaccia un titolo, "Sola del suo sesso", coniato dalla teologia femminista per Maria adulta, quasi l'ultima delle litanie, ora pro nobis, con trasparente allusione al contrasto fra la posizione elevatissima riservata unicamente a costei e l'umile rango di tutte le altre, nella società cristiana. Anche la protagonista di quest'immagine è sola, in un mondo di uomini, e realizza il detto di Lacan, erede della teologia cattolica: una per una.
Ma nel Sessantotto, come andò, veramente? Che cosa facevano le donne, quando non porgevano fiori al cielo? Il Sessantotto fu una cosa dei maschi, direbbero due bambini che frequento. Le femmine però, rispondo loro, c'erano e questa foto ne ritrae una, io ero un'altra e tante ne ho conosciute che c'erano, insieme alle loro amiche, una mia si chiamava Rosetta, e ai loro compagni, uno mio si chiamava Giuseppe, nelle manifestazioni di piazza, nelle occupazioni di università, nelle assemblee ad ascoltare, nei sottoscala a ciclostilare, nelle riunioni di gruppi e gruppetti, negli appartamenti presi in comune, nei picchetti delle fabbriche, nelle feste estive in riva ai fiumi, e tutto il resto.
Allora, cambio domanda: che cos'è stato il Sessantotto per me e le mie simili? Fu un passaggio - prima risposta - ma importante e, chissà, necessario, certo che ci ha portate molto avanti. Infatti, si dice "rivolta femminile" e "fine del patriarcato" e i più pensano all'Italia arcaica degli anni Cinquanta. È sbagliato. La rivolta che ha aperto la breccia da cui sono passate poi tante altre, fu contro i costumi e la cultura dei giovanotti che in questa foto fronteggiano i poliziotti. E che, fermi in questa posizione, hanno consumato un sacco di tempo e di energie, troppe. Siamo volate via... avete visto quel magnifico film di plastilina, Galline in fuga? Noi.
C'è una seconda risposta, perché, con la storia dei quarant'anni, ho dovuto tornare a pensarci. A distanza di tanti anni, facendo il confronto con il tempo presente, mi sono resa conto che ci fu un'investitura, allora, in favore delle persone giovani, che adesso non c'è. Quell'ebollizione mondiale aveva la forma espressiva del contro, ma era attesa e ci fu chiesta da un mondo che voleva cambiare, eravamo segretamente autorizzati. Come e da chi precisamente, sono cose che la cultura maschile di sinistra, con la sua dialettica e il suo antagonismo, non ha ancora imparato a captare. Non porto esempi. Autorizzati, chi? Ovviamente, allora, i maschi. Ma le femmine c'erano, ci eravamo anche noi e, per finire, oso dire, il credito del cambiamento possibile è andato a noi. Fu necessario alzare un braccio.

Luisa Muraro, "il manifesto", 21 marzo 2008