Rispetto al fatidico e perfino leggendario 2003, in cui il nuovo
"movimento dei movimenti" apparve sulle piazze di tutto il mondo come una
forza globale di contestazione della guerra in grado di trascinare con
sé (in un implicito sistema di alleanze) l'asse franco-tedesco
(e, con esso, le scelte della politica europea), il mondo cattolico con
le sue stesse istituzioni, i partiti del movimento operaio, gran parte
della stampa e dei mass-media, il quadro che emerge in questi mesi del
2005 segnala uno stato di arretramento e di disorientamento che pone comunque
il problema di sapere fino a che punto lo stesso nuovo movimento mantenga
la sua influenza e la sua capacità di azione.
A che punto di svolta é dunque oggi il movimento stesso e quali
problemi riconosce esso stesso come fondamentali?
L'autore di queste note ha formulato più volte le sue
riserve e le sue critiche nei confronti del movimento per la pace e non
é pertanto schierato col movimento. Ma non per questo nega
la portata innovativa delle problematiche poste dal movimento, sia per
essere stato anche lui un "movimentista" nella stagione sessantottina e
volere ancora riflettere sull'importanza del '68 come evento- chiave
di una nuova cultura politica, sia perché certi aspetti di quella
che si chiama "crisi della politica" sono ormai a tal punto manifesti
da rendere obbligatorio per ogni osservatore e studioso il confronto con
l'intero patrimonio dell'antagonismo anti-politico, con la cultura dei
movimenti come novità epocale del modo di fare politica contemporaneo.
In fin dei conti quella che oramai tende a essere identificata come
l'epoca della globalizzazione ha messo in luce la crisi delle modalità
stesse della politica tradizionale, al punto che sciogliere
questo nodo comporta fare i conti con la pratica e la teoria del
movimento dei movimenti. Parafrasando il profeta (Marx) : DE TE FABULA
NARRATUR.
Un recente lavoro di due studiosi dichiaratamente vicini al movimento,
Stefano Calzolari e Mimmo Porcaro, "L'invenzione della politica", Edizioni
Punto Rosso, ha il merito indubbio e l'ambizione di definire a che punto
di innovazione e di rottura é pervenuto il movimento dei movimenti
rispetto alle pratiche del passato e va dato atto ai due autori di riuscire
a farlo passando al tempo stesso in rassegna la produzione teorica di quegli
esponenti che vanno per la maggiore (da Negri a Revelli a Holloway).
Non so quanto giovi, in tutta sincerità, l'ampiezza strabordante
del testo stesso (quasi 650 pagine) anche perché le prime 30 pagine
di "Introduzione' riescono a condensare le principali argomentazioni e
a esplicitarle in modo chiaro. In ogni caso é opportuno rifarsi
al titolo stesso del lavoro di Porcaro, LO SCUDO DI PERSEO, per cogliere
il senso principale della proposta: Perseo riesce infine a vincere la Medusa
dal suo sguardo pietrificante perché evita di guardare usando lo
scudo come specchio riflesso. Fuori di metafora il movimento ha comunque
un compito analogo, di non interiorizzare facendolo suo il volto del potere,
ma di mantenere la distanza per fronteggiarlo.Qual'é il nostro scudo?
"E' il fatto che la nostra esistenza politica viene prima del nostro rapporto
con il potere, non dipende, non é definita da questo rapporto",
scelta resa possibile dall'eterogeneità e pluralità stessa
delle ISTITUZIONI del movimento, che consente di non ridurre e ricondurre
il movimento stesso alla lotta col potere.
Si tratta con ciò di prendere atto della doppia processualità
in corso: 1) il passaggio dalla "divisione del lavoro" (ai movimenti il
sociale, ai partiti la politica) che ha prevalso a suo tempo al movimento
- soggetto politico 2) la moltiplicazione eterogenea delle istituzioni
del movimento stesso fa si che quella parte di esso che ha una relazione
diretta col potere non può più essere la parte che sintetizza
il movimento stesso e - anche in caso di sua cooptazione - il movimento
plurale permane,non può essere né rappresentato né
sostituito.
Si tratta come si vede di affermazioni inerenti la lunga durata, la
plasticità e la riproduzione della diversità come un dato
di fondo. Questo é lo spazio da inventare, la nuova politica.
E' difficile certo sapere se questo tipo di proposta esprime nel suo
insieme una riflessione di cui é consapevole l'intero movimento
o si pone a sua volta come proposta specifica che una parte fa al tutto.
Anche perché gran parte del lavoro tende a mettere a fuoco i limiti,
le ingenuità, gli errori degli altri modelli interpretativi, dalla
tendenziale identificazione di Revelli del movimento col "volontariato"
come nuova forma dell'agire politico alla presentazione negriana di una
"moltitudine" che é già sempre rivoluzione in atto alla eccessiva
baldanza della tesi di John Holloway secondo cui é già possibile
"cambiare il mondo senza prendere il potere". Permane insomma il sospetto
che Calzolari e Porcaro non siano immuni dal vecchio vizio
di certa pamphlettistica ( ereditato dalla letteratura neo-marxista) di
di prendersela in primo luogo con le deviazioni dei compagni di strada
per contrastarne l'egemonia teorica. Decine e decine di pagine sono dedicate
alla polemica con chi crede davvero che il marxiano GENERAL
INTELLECT sia già la sintesi sociale del comunismo vivente, che
la "rete" - intesa anche e soprattutto come internet- sia già la
prova vivente della rivoluzione in corso, che basti rfiutarsi di prendere
il potere perché esso cada da solo per revoca di consenso.
Ciò nonostante il taglio comunque sensibilmente PROBLEMATICO della
linea interpretativa rivela una capacità positiva di individuare
di volta in volta una serie di punti deboli, di non accontentarsi della
formula vincente, di voler coniugare realismo e utopia.
Personalmente sono rimasto piacevolmente sorpreso dalla scelta, netta
in Porcaro, di connettere la tradizionale lettura "sociologica" del movimento
non tanto alla filosofia politica ma - cosa alquanto rara - a un
tipo di ricerca "antropologica" (penso in particolare alle pagine
assai acute su Eienne de la Beotie e la "volontà di servire", al
richiamo a Elias Canetti), sia pure per ricondurre il tutto a una
ripresa della marxiana teoria del feticismo. Credo sia importante soffermarsi
un attimo su questa dimensione.
E' ragionevole richiamarsi a letture sociologiche come quelle di Donatella
della Porta per cogliere la nuova portata di un "movimento di individui",
per valorizzare finalmente la portata positivo del nuovo " individualismo"
(parola guardata da sempre con sospetto e sinonimo della egoistica libertà
di mercato) , la presenza di un nuovo tipo di "specialismo" (che non é
più quello dei tecnocrati) e la nascita di una nuova serie
di "istituzioni" che hanno la peculiare caratteristica di intrecciare fra
loro l'associazionismo politico per campagne, l'autoorganizzazione sociale
e un interventismo sociale specifico. Anche perché tutto ciò
manda a carte quarantotto la vecchia vulgata della "classe" e una serie
di schemi marxisti e comincia a porre il problema di un nuovo tipo
di conflitto (quello appunto tra individui, istituzioni e specialismi)
che non ha in sé una risposta garantita (sicché
anche i titoli dei paragrafi si problematizzano: "sono davvero autoorganizzate
le istituzioni di movimento?", "fino a che punto il movimento sostituisce
il partito?", "estensione e limiti della nozione di classe").
A saper leggere tra le righe i dubbi e i problemi, i modi stessi di
porre sotto accusa l'esaurirsi del " modello rivendicativo" del movimento
operaio, hanno il coraggio laico della criticità ( non é
fuori luogo - anche per l'affinità e la ripresa di alcuni temi -
ricordare un 'opera oggi dimenticata, "Addio al proletariato" di Gorz,
che metteva in discussione temi analoghi e forse per questa
sua eterodossia non del tutto gradita). Ma la parte più
originale e in questo senso critica del lavoro é quella che i investe
la questione del potere in risposta a Brecher,Costello,Smith e a
Gene Sharp secondo cui se il potere si fonda sul consenso basta revocare
il consenso stesso ed il gioco é fatto. Non é così,
poiché il vero problema del potere (come spiega Claude Lefort tramite
La Boetie) non é il funzionamento del potere ma la sua GENESI, sicché
occorre riconoscere lo statuto specifico di una volontà di servire
che é un prodotto storico-culturale complesso, il risultato di un
processo di "domesticazione del comando" (Canetti) che ha alla base
un rapporto con la sopravvivenza, in primo luogo tramite il nutrimento,
ma poi cresciuta come insieme simbolico. Ciò "spiega perché
sia così difficile passare dal capitalismo a una società
fondata sulla cooperazione.. non basta infatti rifiutarsi di sottomettersi
al capitale per mostrarne la superfluità" poiché occorre
"mostrare la capacità di organizzare la produzione materiali
con criteri diversi".
Porcaro e Calzolari pongono l'accento sul nodo centrale: quale cooperazione
SOCIALE quando é essa stessa di continuo riprodotta e incorporata
nel marxiano "rapporto sociale di produzione capitalistico? Quando
una revoca del consenso deve poggiare contemporaneamente sulla
possibilità di una organizzazione della produzione diversa praticata
come auto-organizzazione, costruita come resistenza-trasformazione-
presenza di una socialità autonoma (che a sua volta poggi su istituzioni,
individui, specialisti) fondando una politicità insieme diversa
e concretamente capace di "far politica" - nel senso normale e fattivo
che il termine comunque ha rispetto a decisioni,leggi, accordi,
norme?
Che lo sappiano bene del tutto anch'essi o no poco importa, ma così
facendo rimandano alla memoria storica del movimento operaio, ivi compresa
la storia esemplare di quella sua "invenzione" particolare, la COOPERATIVA,
una storia di cui si confondono le piste e che va raccontata anche come
storia dell'idea SOCIALISTA e della sua rete insieme alternativa
e "interna" al capitale. Dal "cartismo" inglese dei tempi di Marx alla
società fabiana come istituzione, dalle società di mutuo
soccorso al problema della "riforma" sociale nel suo complesso. Una storia
che é infine proprio attraversata da quella separazione tra
istanza "rivendicativa" e istanza " politica", fra sindacato e partito,
lotta economica e lotta politica, movimento di piazza e sovranità
della legge, insurrezione popolare e rappresentanza politica che verrà
determinando con l'epoca della Seconda Internazionale le forme generali
di una avanzata e di una sconfitta, fino alla prima idea di "stato sociale"
e ai suoi effetti. Una storia che conobbe scuole alternative e banche alternative,
reti di socialità, cultura autonoma e subalternità alla grande
cultura borghese, la storia che ci ha accompagnato e che solo la prima
irruzione dei "nuovi movimenti", il '68 e tutto il resto che ne derivò
ha messo a nudo nel suo ripiegare su se stessa e rinculare. Una storia
però fondata anche su punti forti, eredità, lezioni, esperienze,
del tutto simili - mutatis mutandis - al tipo di dibattito che oggi emerge.
Non ricordo tutto ciò solo come si può ripassare un vecchio
film che ci ricorda come eravamo né per ridimensionare a tutti i
costi come deja-vu la portata del dibattito odierno; é evidente
che non é vero che la storia si ripete, coi suoi cicli, che Porcaro
e Calzolari fanno bene a insistere sul lato nuovo dei problemi e che
non si tratta di rimbeccare nessuno come se avesse finalmente ri-scoperto
la cooperazione e la politica sociale, il riformismo e l'idea di un mondo
non capitalistico. Semmai alla luce di quell'oscillazione fra realismo
e utopia, riformismo e massimalismo, che ha caratterizzato la storia del
vecchio movimento operaio é ora che si capisca che quella
oscillazione può riprodursi anche nel nuovo movimento dei
movimenti e che il problema é pro prio questo, sissignori, anche
se non so individuare da solo la soluzione del problema stesso.
Attilio Mangano