Toni Negri e a cura di G. De Michele, "Storia di un comunista",
Ponte alle Grazie, pagg. 608, euro 18
L’autobiografia di Toni Negri imbarazza la sinistra ma censurarla non
ha senso
Sto finendo di leggere con grande interesse le seicento pagine di autobiografia
che Toni Negri ha scritto in collaborazione con Girolamo De Michele: “Storia
di un comunista” (Ponte alle grazie). Intuisco le ragioni, diciamo così,
costituzionali che oggi inducono una brava giornalista come Simonetta Fiori
a stroncare questo libro sulle pagine culturali di “La Repubblica”. Ma non
riesco a condividerle. Basta il titolo per capire che qui si tratta di prendersela
con un nemico storico, un intellettuale che si ritiene abbia provocato gravi
danni alla sinistra utilizzando spregiudicatamente il suo notevole bagaglio
accademico-scientifico: “L’ego-biografia di Negri che dimentica la Storia.
Seicento pagine, nessuna autocritica”.
Eppure l’autobiografia di Negri è una lettura preziosa, per quanto
imbarazzante. Rivelatrice di una formazione culturale condivisa con grandi
maestri (Chabod, Bobbio) e compagni di strada oggi venerati dalla sinistra
ufficiale (Asor Rosa, Cacciari, Tronti, Feltrinelli per non parlare di quel
grande operaista dimenticato che fu Raniero Panzieri), cui si sommano relazioni
importanti con l’accademia filosofica tedesca e francese. Certo, per quanto
di autocritiche non ne manchino, Toni Negri continua a disturbarci parecchio
nei suoi richiami enfatici alla violenza proletaria declinata fra insurrezione
e espropri, giungendo a deformare in caricatura un’analisi della composizione
sociale italiana dal dopoguerra alla fine degli anni settanta che pure è
ricca di intuizioni.
Credo che dovremmo leggere questo resoconto di parte con maggiore serenità.
E non solo perchè descrive una vita densa, a partire dall’infanzia
piena di lutti e dolore, il Veneto conservatore al suo impatto con l’industrializzazione,
viaggi e incontri con la nuova gioventù europea, l’università
italiana, il Pci, luoghi cruciali come il Petrolchimico di Marghera, personalità
ribelli e avventurose scelte di vita, fino alla rivendicazione di quella
che Toni Negri evidentemente continua a considerare la “sua” creatura movimentista,
quella in cui maggiormente si riconosce: l’Autonomia, non del tutto stroncata
con gli arresti del 1979 che chiudono il libro. Come dimostra il fascino
che le teorie di Negri sulle “moltitudini” continuano a esercitare fuori
dall’Italia nei movimenti sovversivi. Nel libro, se letto senza fobie preventive,
si trovano anche rivelazioni storiche interessanti sulla genesi della lotta
armata in Italia. I rapporti che si guastano fra Negri e Curcio. La cena
col giudice Alessandrini pochi giorni prima del suo omicidio. Il rapporto
con altri magistrati nella redazione di “Critica del Diritto”.
Non ho mai militato al fianco di Toni Negri. Ho sempre trovato sbagliato
e persecutorio il teorema giudiziario che lo poneva a capo del terrorismo
di sinistra in Italia. L’ho conosciuto solo di sfuggita dopo che è
uscito di galera e ritornato dalla sua fuga parigina (a questo proposito,
il libro contiene una marginale inesattezza: Negri ricorda male, non è
vero che fossi stato io a passargli il contratto d’affitto della sede di
via Disciplini a Milano, da me frequentata molto prima del suo arrivo, suppongo
fosse intestata a Francone Tommei). Ma trovo doveroso fare i conti col suo
percorso militante e intellettuale, qui descritto con un’onestà che
va riconosciuta anche se ci disturba. La scomunica lascia il tempo che trova.