La scomparsa di Gian Battista Lazagna. Era nato a Genova nel 1923. Ventenne,
con il nome di «Carlo» guidò i partigiani della Divisione
Pinan Cichero nella battaglia del Ponte Rotto quando i nazifascisti tentarono
l'ultimo degli sfondamenti verso una delle zone già liberate e amministrate
dai partigiani
Perché il manifesto ha tardato alcuni giorni a scrivere
di Giovan Battista Lazagna, che se ne è andato, a 79 anni, la settimana
scorsa? Un motivo c'è, ed è la difficoltà - quando
avvengono delle cose così normali ma così repentine come
la morte - a rimettere insieme i pezzi, a dare un senso a quell'evento
doloroso e a offrirne una rappresentazione pubblica che sia all'altezza
dell'affetto e dei sentimenti che hanno animato un rapporto. Che fu intenso
e intimo, soprattutto per chi scrive e per questo giornale. Anche ora comunque
non è facile. L'unica cosa che ci riesce di fare, allora, è
di proporre a tutti , e specialmente ai molti giovani che non lo conobbero,
un itinerario fisico, che comincia dall'autostrada Milano-Genova, al casello
di Arquata e da lì si infila in una delle zone più belle
e meno note dell'appennino ligure, la val Borbera.Dopo pochi chilometri
la valle si stringe, diventa quasi un canyon tra rocce di puddinga, con
il piccolo fiume là in basso. Lì, immediatamente prima della
frazione di Pertuso (che vuol dire «buco») Lazagna guidò
i partigiani della Pinan Cichero nella battaglia del Ponte Rotto, quando
i nazifascismi tentarono l'ultimo degli sfondamenti verso una delle zone
già liberate e amministrate dai partigiani. Era allora ventenne,
era già stato ferito gravemente in battaglia, il giovane «Carlo»,
un cittadino di buona e antifascista famiglia, salito in montagna dopo
l'8 settembre. Suo padre, Umberto, fu uno dei capi del Cnl ligure, con
il nome di Canevari.
Più avanti c'è Rocchetta Ligure, dove Giovan Battista
conobbe Aurora, la dolce e forte compagna della sua vita. E lì c'è
la casa dove centinaia di amici e compagni passarono per venire a trovarlo:
sotto i grandi alberi in giardino, davanti al camino d'inverno, insieme
ai figli Umberto e Carlotta e agli stupendi figli di lei, che molto amò
e che gli allietarono la vita.
Un luogo ben noto anche alle carte processuali, perché fu tra
quelle solide mura che nel 1970 una sera si tenne la «cena del capretto».
Secondo gli inquirenti, in quella sera si sarebbero organizzati i Gap di
Gian Giacomo Feltrinelli, formazioni clandestine che, nell'epoca della
strategia della tensione, organizzarono attentati dimostrativi, esplicitamente
ispirandosi ai Gap partigiani. In uno di questi, l'ultimo, sarebbe morto
lo stesso editore. Ma chi c'era (e chi scrive c'era), può confrontare
l'abisso tra le ricostruzioni dei pubblici ministeri e la realtà
semplice dei fatti: il paradigma indiziario mette insieme i pezzi, e traccia
un'ipotesi di rapporti e di cause-effetto. Eppure fu una serata delle tante,
molto popolata di giovani, e certo c'era l'editore e diversi partigiani
che lui voleva conoscere, affascinato. Ma tutto lì, senza complotti
e con molto vino.
Erano molto corteggiati i partigiani dai giovani del `68, perché
in essi vedevano un modello, una lotta di popolo vincente, una storia lontana
eppure vicinissima. "Carlo" a sua volta, che mai aveva smesso con la politica,
ma che tuttavia ne era stato assai deluso, vide nei movimenti il filo di
una continuità. Così il rapporto fu naturale e intenso, imparando
a conoscersi anche nelle molte diversità.
E anche nelle difficoltà. Capitò infatti che non solo
i giovani delle università vollero conoscere Lazagna, ma anche quelli
che avevano scelto la clandestinità, le Brigate Rosse. Il rapporto
fallì, per vere divergenze strategiche politiche, ma lasciò
delle tracce che avrebbero portato in carcere Giovan Battista Lazagna,
su ordine del procuratore di Torino Caselli. Era successo infatti che un
frate sedicente guerrigliero in America latina, Girotto, venisse reclutato
dai carabinieri per agganciare le Br, che questi arrivasse a un giovane
di Borgomanero, che questi si rivolgesse a Lazagna presentando il frate
come voglioso di conoscere Curcio e che Lazagna gli dicesse «se proprio
insiste mettilo in contatto». Da questo rapporto, subito da Lazagna,
e non negato, l'accusa di partecipazione a banda armata, il carcere a Fossano
e poi due anni di soggiorno obbligato a Rocchetta Ligure.
E' di nuovo qui, dunque che ricomincia la vita di Carlo, questa volta
come segregato, che tra l'incredulità dei locali e degli amici di
città, decide di fare il boscaiolo e il contadino, per campare in
qualche modo, dato che non è possibile fare l'avvocato da un paesino
tra i monti.
Furono mesi duri, ma in quelli imparammo cos'è un carattere
fiero e un uomo senza spocchia. Tornano alle mente immagini luminose, di
giornate d'inverno limpide, con la neve per terra e «Carlo»
a torso nudo a tagliare legna come un forsennato, che poi avrebbe venduto.
Oppure curvo a terra, a coltivare un gigantesco orto, imparando a sessanta
annii come si fanno gli innesti delle prugne e come si tirano su le patate.
Quelle di Rocchetta sono famose ed eccezionali per bontà.
Arrivava ogni tanto l'avvocato Pecorella, che allora difendeva i deboli
contro i potenti, ad aggiornare sull'andamento delle cause legali, poi
finite nel nulla e nelle assoluzioni. Ma non cessava l'attività
mentale perché l'essere strappati alla vita di città, offre
anche l'occasione per rileggere e ripensare. E' in questo periodo che Giovan
Battista, mentre crea e guida l'Anpi di Rocchetta, ragiona anche sulla
esperienza partigiana, sulle diverse e molte culture del Pci di allora
e soprattutto sulla unicità dell'esperienza partigiana di montagna,
così diversa anche umanamente da quella del partito clandestino
in città e dal partito di fabbrica. Molte di queste riflessioni
si possono leggere nello spledico volume Comunisti e partigiani,
scritto due anni fa da Manlio Calegari per l'editore Selene.
Generoso nei sentimenti e nel suo tempo, Gian Battista era capace di
salire in macchina, con una stecca di sigarette e una bottiglia di gazosa,
e andare da solo fino in capo all'Italia per un incontro, un dibattito,
una serata con altri come lui appassionati della politica. Da lui chi scrive
a imparato a essere fieri della proprie idee ma senza presunzione, ma anche
la capacità di ascoltare. Andavi a Rocchetta per sapere ed era lui
a interrogarci e a chiederci curioso e fresco. Grazie.