Un nuovo (ennesimo?) libro sul ’68, quello di Mark Kurlansky, che merita
di essere segnalato e letto per due ragioni. E’ scritto sotto forma di
pagine di diario relative al fatidico anno (ma con ampie digressioni negli
anni che lo hanno preceduto), non ha al centro dell’attenzione l’Italia
ma, soprattutto, gli Stati Uniti e poi, via via, Francia, Messico, Polonia,
Cecoslovacchia, Germania Est e Ovest, Brasile, Giappone, Cina, Canada,
Gran Bretagna. Non meno marginale, appare il contributo alla critica al
sistema da parte degli intellettuali radical-marxisti e non, tracciato
nel libro di Vittorio Giacopini. Accanto all’analisi critica, e sovente
spietata, al sistema chiuso e delle società industriali (fossero
esse democratiche-parlamentari o socialiste-reali), svolta da autori quali
Bettelheim, Goodman, Marcuse, Barthes e i situazionisti (peccato manchi
Charl Wrigt Mills), la presenza dell’italico Pier Paolo Pisolini non sembra
reggere il confronto, anche perché la sua critica alla società
assume spesso i tono di una decadente critica alla modernità in
sé, intesa come corrutrice di popoli e strati sociali subalterni,
rovinati rispetto ad una presunta e “selvaggia” bontà primitiva,
leggendaria, fantastica e -a tratti- un po’ animalesca.
Che ci fossero motivi d’insofferenza e di malessere esistenziale, prima
ancora che politico e sociale, all’interno delle società industriali
era un tema già presente e ricorrente in minoranze di intellettuali
e di giovani, soprattutto negli Stati Uniti. Nel 1962 un piccolo gruppo
di giovani, militanti del SDS, si riunirono a Port Huron nel Michigan e
buttarono giù un documento coll’intenzione che fosse “un ordine
del giorno di una generazione”. Quella che sarebbe divenuta nota come New
Left, era stata definita ed era una sinistra cui non piacevano né
i liberal, di cui non ci si poteva fidare, né i comunisti, che erano
autoritari, né i capitalisti, che depredavano la gente della libertà,
né gli anticomunisti, che erano dei bravacci. Non a caso Allen Ginsberg
scriveva: “i comunisti non hanno niente da offrire, solo guance grasse
e occhiali e poliziotti bugiardi/ e i capitalisti offrono Napalm e soldi
in valigie verdi (in Papà respiro addio: Poesie Scelte (1947-1995),
Milano, Il Saggiatore, 1997, pp. 302-303)
Il 1967 non era stato un buon anno per gli Stati Uniti. Nei degradati
quartieri neri, erano esplose un numero eccezionale di violente e devastanti
rivolte. A Los Angeles, durante la rivolta del 1965 erano state uccise
34 persone, a Detroit nelle sollevazioni razziali del 1967 ne erano
morte 43. In Viet Nam nel 1967 erano morti 9353 americani, più della
metà del numero totale delle perdite subite dagli Stati Uniti che
ormai assommavano a 15.997 caduti e 99.742 feriti.
Così, il primo giorno del 1968 il «New York Time»
titolava in prima pagina: “Il mondo dice addio a un anno violento”, augurando
un ’68 migliore. Previsione smentita. All’apice dei combattimenti nel Vietnam,
nel 1968, l’esercito degli Stati Uniti uccideva ogni settimana un numero
di persone più o meno pari a quelle che persero la vita l’11 settembre
2001 nell’attacco al World Trade Center (Mark Kurlansky, p. 6). Dall’altro
capo dell’Atlantico il Presidente francese De Grulle, l’ultimo giorno dell’anno
1967, dichiarava: “saluto il 1968 con serenità”.
Alcuni mesi dopo, Francois Missoffe, ministro della gioventù
stava visitando l’università quando uno studente, basso di statura
dai capelli rossi, gli chiese di fargli accendere una sigaretta. Dopo averla
accesa il giovane Daniel Cohn-Bendit disse: “monsieur le ministre, ho letto
il suo libro bianco sui giovani. In trecento pagine non c’è una
parola sui loro problemi sessuali”. Il ministro rispose: “non c’è
da meravigliarsi che, con una faccia come la sua, abbia di questi problemi:
le consiglio un tuffo in piscina”. Replicò lo studente: “ecco una
risposta degna del ministro della gioventù di Hitler”. La rivolta
del maggio francese stava scoppiando mescolando, come avveniva in altre
parti del mondo, politica, musica, sesso.
La nuova musica dei campus non aveva a che vedere solo con la
politica e gli stupefacenti, ma anche con il sesso. I concerti rock, al
pari delle manifestazioni politiche, preludevano spesso a incontri erotici.
Jim Morrison si definiva “un politico erotico” e Janis Joplin dichiarò:
“la mia musica non è fatta per farvi ribellare, è fatta per
scopare” (Mark Kurlansky , p. 207). Ed Sanders definì la metà
degli anni sessanta “l’epoca d’oro della scopata” (Mark Kurlansky, p. 208).
Il 7 settembre 1968 un gruppo di cento donne si diede appuntamento
all’elezione di miss America e incoronò una pecora, poi si misero
a gettare oggetti in una “Pattumiera della libertà”. Nel bidone
finirono guaine, reggiseni, ciglia finte, bigodini e altri prodotti di
bellezza. Era il debutto delle New York Radical Women e che avevano alle
spalle una notevole esperienza di lavoro nella nuova sinistra o nel movimento
per i diritti civili. Quel 7 settembre è considerato da molti la
data di nascita del moderno femminismo. Questo gruppo introdusse una pratica
nuova che si rivelò rivoluzionaria: il consciousness-raising, o
pratica dell’autocoscienza. Nei Dannati della terra Frantz Fanon scriveva
di come i colonizzati avessero menti colonizzate: essi accettavano il posto
in cui la madre patria li aveva messi, ma senza essere consapevoli di stare
accettando quel ruolo. Le femministe erano convinte che gli uomini avessero
fatto la stessa cosa alle donne, e che nel rendere queste ultime consapevoli
stava la chiave per fare del femminismo un movimento di massa: quella pratica,
in apparenza una mera forma di autoterapia, avrebbe conquistato alla causa
femminista migliaia di loro compagne.
La rivolta generazionale penetrò anche oltre cortina. Non più
totalmente tagliati fuori dall’Occidente, i giovani non tardarono a far
propria la vivace cultura giovanile occidentale: si misero a indossare
texasski (blue-jeans) e a frequentare i club dove si ascoltava il rock
and roll. A Praga c’erano più capelloni con barba e sandali che
in qualunque altra città d’Europa. il 1° maggio 1965 mentre
il resto del mondo comunista celebrava la ricorrenza, la gioventù
praghese incoronò Kraj Majales, re di maggio, il poeta beatnik Allen
Ginsberg, giunto in visita nel paese. Nel novembre del 1967 un piccolo
gruppo di studente praghesi decise di fare quello che stavano facendo gli
studenti in Occidente, una manifestazione.. Alla fine del 1967 gli studenti
distribuivano volantini e discutevano con chiunque li avvicinasse per strada:
assomigliavano in tutto ai loro compagni di Berlino, Roma e Berkeley. Polacchi
e cechi sapevano rispettivamente gli uni degli altri, come sapevano che
c’era un movimento do contestazione negli Stati Uniti, ricavavano moltissime
notizie sulla guerra del Vietnam e sui movimenti in occidente dai giornali
di regime
Diego Giachetti