Ecco la foto di Tommie «Jet» Smith e John Carlos alle Olimpiadi
di Città del Messico, cerimonia di premiazione il 16 ottobre 1968
per i 200 metri dove erano risultati rispettivamente primo (con record
di 19' e 83") e terzo. Si presentano scalzi in calzini neri (per solidarietà
con i diseredati), abbassano la testa in segno di lutto e alzano il pugno
chiuso guantato di nero in perfetto stile Black Power. Erano studenti della
San José State University, che trentasette anni dopo dedicherà
loro nel campus un monumento alto sette metri, in bronzo e fibra di vetro.
La commemorazione della contestazione e del successivo boicottaggio dei
due atleti diventa un'allegoria del respect dovuto all'impegno e alla razza.
Nella notte fra il 2 e il 3 ottobre il Presidente Gustavo Diaz Ordaz
aveva fatto massacrare nella piazza delle Tre Culture (a Tlatelolco, Città
del Messico, luogo già di massacri da parte dei colonizzatori spagnoli)
un numero tuttora imprecisato di studenti, alcune centinaia di sicuro,
ma il presidente del Cio, Avery Brundage aveva stabilito che il circo doveva
andare avanti. La protesta dei due atleti ebbe un enorme rilievo mondiale,
sputtanando l'establishment olimpico quanto quello messicano, e si iscrisse
nella galleria dei memorabili gesti che tracciarono mediaticamente il 1968.
Certo, non è una novità. Quante sequenze storiche le ricordiamo
perché incastrate e riassunte in un'immagine simbolica o in una
frase performativa - il dado è tratto di Cesare, la Libertà
a seno nudo sulle barricate del 1848, la Guardia è stanca, il miliziano
morente di Robert Capa sul fronte di Córdoba. Il 1968, però,
moltiplicò il numero e il peso di tali atti, non li collegò
obbligatoriamente a grandi figure storico-epocali ma li disseminò
in una miriade di protagonisti, di prese di parola e irruzione nello spazio
pubblico. Al podio olimpico si affiancarono i palcoscenici dei concerti
(il denudamento di Jim Morrison, le chitarre spezzate di Jimi Hendrix),
le presidenze della assemblee studentesche... La diffusione e l'innovazione
dei mezzi di comunicazione di massa contribuì moltissimo, senza
dubbio, e gettò subito un sospetto di banalizzazione, ma per l'essenziale
si trattò di una democratizzazione radicale della soggettivazione
in una dimensione del comune. In altri termini fu rimodulato in termini
di massa e di sovversione quel concetto di onore che un tempo aveva contrassegnato
i ceti aristocratici o l'etica del politico.
L'onore, infatti, nella sua sublime infondatezza condensa tutti i tratti
virtuosistici dell'azione. Al potere di identificare il chi è di
un soggetto corrisponde la facilità di lesione. La più lieve
ombra può annientarlo, le ragioni di sostegno sono irrazionali,
la dipendenza dalla convenzione e dal consenso schiacciante, come mostrano
le disquisizioni barocche sulle precedenze o le complesse regole che improntano
i rapporti fra bande metropolitane e altre tribù post-moderne. L'onore
ama la spettacolarità dell'evento in cui si intrecciano labilità
e generalità. La fotografia, nel nostro caso, ne tramanda permanentemente
la contingenza, traccia di un originario venire alla luce. Riconosciamo
quel gesto per nostro, dal punto di vista dello spettatore imparziale,
con l'entusiasmo disinteressato che Kant provava davanti agli eventi inaugurali
della Rivoluzione francese e che ne dimostrava il carattere progressivo
ed epocale meglio di qualsiasi considerazione analitica.
Che cos'è oggi onore, onore di massa? Forse il riconoscimento
dell'essere-sradicato del singolo e del suo voler-essere-in-comune. Non
a caso il contenuto simbolico sfuma nella pura comunicabilità, evoca
un diritto della singolarità e non marche di appartenenza. Paradossale
e periferico, ben lungi dal fiero statuto classico ma tanto più
significativo quanto più si fa incubo l'orgoglio di patria, di ceto
o di partito e si dissolve l'equivoca reputazione di cui si facevano vanto
i ceti borghesi. L'onore è attribuibile solo al venire alla luce
di soggetti incoerenti discriminati, confinati nella penombra: il clandestino,
il precario, il non garantito che rivendica visibilità e parola.
L'opposto dell'innocenza afona della vittima e del carnefice, del buon
padre di famiglia apolitico e dello spettatore attonito dei videogiochi
di guerra intercambiabili con i bombardamenti chirurgici e le ricostruzioni
dei delitti a Porta a Porta. A pensarci bene, quegli anonimi che si danno
un nome sono i legittimi successori dei personaggi cui Max Weber e Hannah
Arendt attribuivano il momento carismatico dell'agire politico in contrapposto
alla routine burocratica.
La loro chiamata (allora un solenne Beruf di origine teologica, oggi
una più sbrigativa, sebbene ancora di origine religiosa, mission)
si manifesta nel rischio della parzialità, nella scelta infondata,
politeistica, fra valori e strategie incommensurabili, senza nascondersi
dietro l'autorità vincolante di un superiore o della legge. Chi
si assume la responsabilità delle proprie azioni in presenza degli
altri è attivo nel senso nietzschiano della capacità di promettere
e scommettere, di provare a conferire stabilità al caos facendosi
carico del futuro. Se togliamo quell'aria di stato d'eccezione, tipica
del clima politico-sociale del fordismo e dei regimi autoritari degli anni
'20 e '30 e i cui ultimi bagliori conferiscono a volte un tono eccessivamente
romantico a tante rappresentazioni del '68, potremmo dire che politica
è rompere le regole, introdurre il nuovo, dar voce a chi non ha
voce, al senza parte. Può essere anche un segno muto - i piedi scalzi
del recordman della corsa, nel nostro caso. In foto viene benissimo. Anche
la voice, presa di parola e protesta, ebbe il suo ruolo all'epoca, spesso
più per l'audacia del dichiararsi che per il contenuto.
Nell'era di You Tube una certa residua monumentalità delle immagini
del '68 sembra ormai fuori luogo. L'emergenza della soggettivazione politica
è più diffusa e moltitudinaria. Lo smagliamento della rete
del potere e la pratica di presenza alternativa non si incarnano più
in un emblema riproducibile su carta o T-shirt. Guardando il video che
la Rete per l'Autoformazione ha prodotto per le manifestazioni di metà
gennaio 2008 contro la (mancata) inaugurazione dell'anno accademico alla
Sapienza da parte di Ratzinger, viene da pensare che questa è la
più legittima eredità dei gesti esemplari di protesta del
'68 - non a caso accompagnata dalla deplorazione di tutta la stampa ufficiale
e dell'imbarazzata opinione media di sinistra.
Ci troviamo in una situazione in cui il lavoro intellettuale, anzi
le stesse attitudini relazionali e conoscitive sono scientificamente utilizzate
e oscurate in un progetto di sfruttamento, gerarchizzazione e gestione
governamentale delle risorse di cui la compartimentazione del sapere e
dei livelli di riconoscimento e l'infausto meccanismo dei crediti sono
gli aspetti salienti. L'invito ossequioso al papa di Fides et ratio era
il grazioso complemento clericale di un dispositivo aridamente secolare
per la produzione e appropriazione di valore.
Quale onore hanno difeso e testimoniato gli studenti di Uniriot? Non
certo quello dell'Istituzione-Scienza o dello Stato laico, piuttosto hanno
riaffermato il loro diritto a uno spazio pubblico, alla comunicabilità
del comune contro ogni privatizzazione cerimoniale e blindatura poliziesca.
Questo ha significato in concreto l'iniziativa, al di là delle circostanze
contingenti e del ridicolo dibattito epistemologico su scritti di seconda
mano. Per questo va ricordata. Signum prognosticum, nel secco latino kantiano.
Una modesta proposta. Ci sono voluti 37 anni per erigere una statua
a Tommie e John. Se sostituissimo l'arcigno e menagramo bronzo minervesco
che incombe sulla fontana centrale, dovremmo forse metterci il Pastore
Tedesco che tira al guinzaglio Guarini, Veltroni e Mussi oppure i loro
vittoriosi contestatori?
Augusto Illuminati, "il manifesto", 8 marzo 2008