Nelle immagini che trovate in questa cassetta c’è la storia inaspettata
e drammatica di una sospensione dei diritti civili e delle libertà
democratiche, avvenuta a Genova il 20, 21, 22 luglio, durante le dimostrazioni
del Genoa Social Forum, nei giorni del Summit detto «G8».
Le sequenze che vedete sono la cronaca di garanzie costituzionali interrotte.
La gravità di quei fatti, la ferita alla natura democratica della
vita italiana, chiedono di rivederle e ripensarle anche a distanza. La
conclusione del breve lavoro della commissione parlamentare di indagine
che l’Opposizione e una parte indignata dell’opinione pubblica italiana
sono riuscite a imporre alla maggioranza, prova – con le relazioni di minoranza
appena pubblicate – che l’argomentazione sostenuta da queste immagini è
fondata.
Questo non è il memoriale di un processo alla polizia. Qui,
in queste immagini, nelle sequenze e nelle evidenze che sono state raccolte
con precisione e montate cercando il filo della ragione, c’è un
documento politico. Parla del rapporto della democrazia con il dissenso,
di violazioni gravi che non possono essere dimenticate perché toccano,
in modo brutale, una questione di diritti civili, ovvero il cuore della
libertà.
I protagonisti di questo video sono il movimento, le dimostrazioni,
i suoi volti. E gli accidenti – o incidenti – che sono accaduti con furia
distruttiva e che hanno permesso il tentativo della grande archiviazione
sotto l’etichetta «manifestazione di dissenso uguale grave pericolo
per le persone e le cose».
Come vedranno coloro che rivisiteranno i giorni di Genova in questo
video, qui non c’è alcuna celebrazione o glorificazione o festa
dell’opposizione come distruzione, immagine che sta tanto a cuore a chi
governa l’Italia in questo momento. Si vedono bene le tre presenze nella
città di Genova durante il G8. C’è un vastissimo corteo del
tutto e sempre pacifico, persino quando la repressione va al di là
di ogni buon senso. C’è la parte che chiama alla «disubbidienza
civile», concepisce un ruolo diverso e non passivo, ma non ha alcuna
visibile strategia di attacco. Ci sono le mai identificate tute nere, un
piccolo gruppo che agisce con estrema violenza, non incontra ostacoli,
non appare mai intercettato e raggiunge il risultato di diffondere un’idea
di paura e un giudizio di condanna per tutti. Come se ogni atto di distruzione,
invece di essere stato compiuto da cinque o dieci giovani, che nessuno
ha identificato e neppure fronteggiato, fosse stato compiuto da tutti.
Come se vi fossero state omertà e reciproca protezione. Ecco qualcosa
che questo video smentisce in modo drammatico.
L’altro protagonista è la polizia. Guardate queste immagini
e non potrete sfuggire a una impressione di eccesso immotivato e clamorosamente
sproporzionato, come se il compito fosse stroncare un potente nemico invece
di ragazzi disarmati. I giovani del mondo venuti a Genova per testimoniare
la loro voglia di essere protagonisti non passivi di eventi che riguardano
tutti, saranno tornati a casa con l’impressione di una polizia italiana
senza controlli, che agisce al di fuori della civiltà democratica.
Giornate piene di tumulti come quelle di Seattle, in cui «il popolo»
di queste vicende è nato, hanno visto persino l’impossibilità
fisica di molti capi di governo e di Stato di raggiungere il luogo del
loro evento. Ma la polizia di quella città non ha dato l’impressione
di avere dichiarato una battaglia frontale e totale. Si è dedicata
a quelle continue azioni di contenimento che sono tipiche di eventi del
genere in paesi liberi.
Ai ragazzi venuti a Genova dal resto del mondo dobbiamo dire che questa
non è la storia di una polizia cattiva. È la storia di un
modo insensato, incoerente, pericoloso di dirigerla. Come sappiamo è
stato condizionato dalla presenza di politici appena giunti al potere che
hanno ispirato, forse ordinato, comportamenti vendicativi che riguardano
il loro personale conto in sospeso con la libertà e la democrazia.
Le inquadrature più terribili sono quelle del giovane ucciso,
Carlo Giuliani. Quel corpo disteso al centro della piazza, fra i volti
frastornati dei ragazzi («hanno ucciso un ragazzo nella piazza in
cui sono nato», dice una scritta) sono un tumulo aperto, in attesa
di capire dall’inchiesta dei giudici che rapporto c’è tra la sua
morte e la vita democratica del Paese. Che rapporto c’è fra quanto
è avvenuto a Genova e i diritti civili di cui ciascuno di noi, in
ogni momento, è titolare esclusivo.