Silvia Fumarola, "la Repubblica", 10 gennaio 2014
«Si difenderanno dicendo che una fiction è un ' opera di fantasia, ma allora non dovevano chiamare il commissario col nome di Calabresi e non dovevano ambientarla a Milano ma in una città di fantasia.
Hanno fatto un'operazione orribile che ci ha ferito». Mauro Decortes,
portavoce del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, critica Gli anni
spezzati-Il commissario la contestatissima serie di Graziano Diana trasmessa
su RaiUno. Operazione ambiziosa, raccontare gli anni 70, che ha scatenato
polemiche feroci. Dopo il film su Calabresi con Emilio Solfrizzi, il 14
e il 15 andrà in onda quello dedicato al rapimento del giudice Sossi;
chiude la trilogia, il 27 e il 28, la storia di un immaginario dirigente
Fiat che combatte il terrorismo in fabbrica mentre la figlia abbraccia
la lotta armata. «Il bar degli anarchici a Milano non è mai
esistito» spiega Decortes «Ma l'operazione è sottile:
lo spettatore ha l'impressione di entrare in un bar di malviventi. Se alla
fine si fa capire che non hanno messo la bomba, restano lo stesso delinquenti
e drogati». Twitter demolisce la fiction «revisionismo storico
in diretta», scena per scena, dai dialoghi ai costumi ai "buchi"
nel racconto. Un errore clamoroso viaggia in rete, notato da quelli che
sono considerati gli anarchici del terzo millennio, il collettivo Militant.
Durante una perquisizione nella stanza di un anarchico appare un manifesto
contro Casapound. «Nel 1969! Con 40 anni d'anticipo! C'eravamo sbagliati»,
si legge sul sito antagonista «questo non è RAIvisionismo
storico; questo è RAIvisionismo futurista».
Guido Crainz, docente di Storia contemporanea nella Facoltà
di Scienze della comunicazione dell'Università di Teramo boccia
la serie: «Tralasciamo i dettagli, che pure hanno colpito il pubblico
e hanno valore. Nel momento in cui scompare il clima dell'autunno caldo,
quello che accade dopo resta incomprensibile» spiega il professore
«Questo per me è l'aspetto centrale. Non se ne fa cenno e
risulta incomprensibile, nella seconda puntata, l'emergere della pista
nera. All'inizio del racconto non si spiega mai che la stragrande parte
degli atti violenti sono fascisti: penso alle bombe dell'aprile e dell'agosto
'69. La responsabilità principale è far scomparire le offensive
di quei mesi, ignorare la pista nera, che era battibile da subito».
Un'altra pecca, secondo lo storico, è che gli autori non sono riusciti
a restituire l'immagine autentica dell'Italia di quegli anni. «Manca
il clima sociale» dice lo storico. «Quella rappresentata è
un'Italia finta, inesistente. Non faccio il processo alle intenzioni, vedo
una falsificazione del periodo. Poi ho trovato che altri aspetti, invece,
sono stati curati, senza omissioni: come il fermo protratto di Pinelli.
Alcuni punti chiave ci sono, e sono spiegati allo spettatore. Per esempio
mentre Pinelli scompare, Calabresi dice: "È la mia stanza, quelli
sono i miei uomini"». «Per capire quale fosse il clima di quegli
anni» continua Crainz, «c'è un documentario straordinario
di Giuseppe Fiori e Sergio Zavoli, Quelli che perdono, trasmesso da Tv7
il 19 dicembre del 1969: partiva dalla folla ai funerali delle vittime
di Piazza Fontana». E qui si apre il discorso sul ruolo del servizio
pubblico «che ha una grande responsabilità quando si tratta
di raccontare la storia di questo Paese. Che sia un prodotto di quart'ordine
si vede, ma è insensato prendersela con gli attori» dice Crainz
«fanno il loro lavoro, la colpa è nella scrittura. Non accennare
al golpe Borghese, trattare in quel modo la morte di Annarumma, quelle
sono colpe. Cancellando la pesante presenza dei neofascisti - c'è
solo una scritta su un muro - si deforma tutto, non si capisce come nasca
la pista nera.E infatti leggo che ai giornali di destra la serie è
piaciuta... La sinistra da salotto, il modo di rappresentare Pansa o la
Cederna, certe fesserie non le considero. Il punto è questo: scompaiono
i fascisti, le ragioni da cui nasce la strage di Piazza Fontana, e scusate
se è poco. Dietro quella strage c'è tutto quello che sarebbe
successo dopo».