L'ego-biografia di Negri che dimentica la Storia
Dall'infanzia agli anni Settanta, l'ex leader di Potere Operaio
racconta la sua vita. Seicento pagine, nessuna autocritica
L'autobiografia è un genere disseminato di trappole, che in pochi
riescono a disinnescare. Certo non vi riesce Toni Negri nei fluviali mémoires
in cui ripercorre la sua vita dall'infanzia in un Veneto molto povero fino
all'arresto il 7 aprile del 1979 per «insurrezione contro i poteri
dello Stato ». ( Storia di un comunista, a cura di Girolamo De Michele,
Ponte alle Grazie). Una storia lunga oltre seicento pagine che può
essere letta come documento del narcisismo intellettuale di una generazione,
quella dei cattivi maestri che oggi si volta a guardare le macerie lasciate
alle spalle rimpiangendo la rivoluzione mancata. Mancata naturalmente non
per oggettive responsabilità, ma per colpa del «troppo piombo
rovesciato dallo Stato assassino».
Un'occasione mancata sembra l'ego-histoire di Negri, figura che continua
a esercitare fascino in alcuni ambienti intellettuali nonostante le gravi
responsabilità penali, politiche e morali accumulate nella stagione
del terrorismo. Il ponderoso volume poteva essere un'occasione per ripercorrere
(auto)criticamente la storia italiana, anche gli errori e le dissennatezze
di quegli anni. Ma tra le pieghe della meticolosa ricostruzione è
difficile imbattersi in un ripensamento autentico («i compagni delle
Brigate Rosse», continua a scrivere quarant'anni dopo). E rari sono
gli accenti di umana solidarietà per chi quella storia oggi non
può raccontarla, per le vittime del terrorismo e per le loro famiglie
spezzate, anche per i giovani perduti dietro un folle velleitarismo. Così
come invano si cerca un accenno alle ricadute che la lotta armata ha prodotto
nel nostro paese, negli assetti politici e nella capacità di cogliere
i cambiamenti in atto nel mondo. L'autore è troppo preso dal raccontare
il suo «assalto al cielo» per accorgersi di tutto il resto,
pur nella ripetuta deprecazione dell'omicidio, principio ribadito in vari
passaggi. E il libro restituisce minuziosamente il vortice del suo progetto
intellettuale e pratico, tra toni autocelebrativi e un evidente compiacimento.
I primi capitoli raccontano l'infanzia e l'adolescenza segnate da un
pervasivo sentimento di morte provocato anche dalla guerra. «Ogni
percezione del mondo è affogata nel lutto», scrive Negri in
pagine raggelate da un dolore profondo, alimentato dalla tragedia del fratello
repubblichino morto suicida. In questo contesto spicca luminosa la figura
dell'Aldina, la "mutter courage" che ne favorisce la fuga da una vita di
stenti. Quello che segue, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è un
percorso di tutto rispetto che lo mette in contatto con le energie migliori
del paese – il cattolicesimo democratico, il movimento federalista europeo,
la comunità olivettiana, la Normale di Pisa, le riviste operaiste,
intellettuali della statura di Chabod, Bobbio e Garin. Un percorso di esperienze,
studi e letture che lo conduce giovanissimo alla cattedra di Dottrina dello
Stato – lui che lo Stato l'avrebbe voluto abbattere – e che forse rende
ancora più inaccettabile l'approdo successivo al brivido del passamontagna
esibito dal leader di Potere Operaio e poi di Autonomia. E anche l'accento
commosso della rievocazione - «Perché un giovane che si presume
intelligente, colto e più attivo che contemplativo si iscrive a
Filosofia all'inizio degli anni Cinquanta? La risposta che mi do è:
la ricerca della verità» - crea le premesse della biografia
di un santo o di un profeta disarmato, non di un intellettuale condannato
dal tribunale italiano per aver organizzato bande armate e per concorso
morale a una rapina.
E nella ricostruzione degli anni Settanta colpisce che a distanza di
quattro decenni il linguaggio resti inalterato - lo "Stato terrorista"
e "i poliziotti assassini" – come una livida caricatura che invece di essere
nascosta con vergogna viene impudicamente rivendicata. Però non
manca l'inchino a Francesco Cossiga, ricordato come «uomo elegante,
appassionato e critico» (una simpatia probabilmente favorita dal
giudizio che Cossiga avrebbe espresso sulla sua condanna, «frutto
di un «giustizialismo giacobino»).
L'autobiografia di Toni Negri è anche la storia di una vita
intensa, di molti amori, di residenze confortevoli, di viaggi appassionanti,
di incontri con il fior fiore dell'intellighenzia internazionale. Fu a
casa di un aristocratico napoletano che imparò «l'esatta composizione
delle bombe molotov ». «Una bellissima villa sulla costa sorrentina,
piastrellata di Vietri e aperta a una vista straordinaria ». Perché
un rivoluzionario, tiene anche a dircelo, non deve mai rinunciare a un
buon stile di vita.
Simonetta Fiori, "la Repubblica", 5 gennaio 2016