Ferdinando Fasce, "il manifesto", 28 gennaio 2012
L'orgoglio afroamericano, la presa di parola degli studenti, la guerra in Vietnam e il rapporto con la controcultura. L'ultimo saggio di Bruno Cartosio dedicato agli anni Sessanta negli Stati Uniti
Il 2012 è un anno importante per ricordare gli anni Sessanta. Compiono mezzo secolo infatti fenomeni e processi, molto diversi fra loro, ma tutti egualmente decisivi, della storia internazionale e italiana del decennio quali il manifesto degli studenti statunitensi di Port Huron, la bibbia ecologista Primavera silenziosa di Rachel Carson, la rivolta operaia di Piazza Statuto a Torino, il primo disco dei Beatles nella formazione-tipo con Ringo Starr. Ecco, non si poteva cominciare meglio un anno tanto significativo per i Sessanta che con questo importante libro di Bruno Cartosio. È il più lungo, mi pare, degli ormai suoi numerosi volumi. Ma uno non se ne accorge, tanto scivola via leggero, con una felicità di passo narrativo direttamente proporzionale al peso sostanziale delle cose che dice. Si intitola giustamente I lunghi anni sessanta. Movimento sociali e cultura politica negli Stati Uniti (Feltrinelli, pp. 398, euro 25). Giustamente perché lo storico tortonese la prende a ragione da lontano, ricollegandosi al suo precedente Anni inquieti (1992), nel quale aveva squarciato il velo del presunto conformismo consensuale del decennio cinquanta.
L'inattesa reazione
È da lì che bisogna partire, dalle increspature di Fonzie
e degli happy days, sotto cui covavano i fuochi del movimento per i diritti
civili. E di lì, dal Sud, cioè da Rosa Parks e Martin Luther
King, parte Cartosio, ricordandoci che «non si può avviare
una lotta insieme legale e di popolo se la persona che di essa può
essere considerata l'origine non è consenziente e, soprattutto,
consapevole delle implicazioni anche personali delle sue scelte».
Così era per Parks, che «non era solo una lavoratrice stanca
per la giornata di lavoro, era una militante nera, iscritta da anni alla
National Association for the Advancement of Colored People e decisa ad
affrontare le conseguenze del suo atto deliberato di sfida». Lo stesso
erano «anche il marito e le persone intorno ai neri nei giorni decisivi
che precedettero e seguirono quel 1 dicembre» in cui Parks oppose
la propria determinata ostinazione di libertà a un rito vuoto di
deferenza e subordinazione verso i bianchi. «In quel lunghissimo
atto di sfida infine vittorioso - annota Cartosio - si manifestò
agli occhi degli oppressori l'esistenza di un'inattesa capacità
degli oppressi di prendere individualmente decisioni di enorme impegno
morale e di sostenerle materialmente».
Ecco definito così il rapporto dialettico fra gli individui,
i piccoli gruppi, i movimenti e le culture politiche che innervarono il
lungo decennio. Cartosio segue con lo sguardo i cerchi d'acqua insubordinati
che da Montgomery riverberano nel resto del paese, in una «vasta
e soprattutto duratura solidarietà locale e nazionale» che
«fu una sorpresa per gli oppressori, a conferma del fatto che l'ottusità
di un ceto dominante non deve essere presa a parametro per giudicare la
realtà dei gruppi sociali da cui quel ceto si mantiene separato
e lontano». Cito molto fra virgolette perché mi piace dare
l'idea di come si possa scrivere un libro di storia rigoroso e ultradocumentato,
con oltre sessanta pagine di note e bibliografia, senza per questo essere
necessariamente astrusi o incomprensibili. Ma anzi incorporando, con opportuna
disinvoltura, l'interpretazione e la concettualizzazione nel vivo del racconto.
Un racconto che spazia, nella migliore tradizione della storia culturale,
dalle fonti giornalistiche, a quelle letterarie, a quelle accademiche,
distendendosi da una parte all'altra del paese e aprendo, un sipario dietro
l'altro, le mille facce dei movimenti dell'epoca.
Così dalla segregazione legale e istituzionale al Sud il quadrante
si sposta a quella di fatto, residenziale, al Nord, nella cittadina industriale
di Cicero, ai margini di Chicago, sede nel 1951 di un grave episodio di
intolleranza razziale. E poi ai movimenti bianchi che nacquero in condizioni
affatto diverse dal movimento nero sudista, in un complesso e contraddittorio
rapporto fra «padri e figli», cioè, in alcuni casi,
fra Vecchia e Nuova Sinistra, con figure leggendarie come Pete Seeger che
abbiamo visto cantare We Shall Overcome lo scorso ottobre fra i ragazzi
di Occupy Wall Street. Ecco, We Shall Overcome, l'inno del movimento per
i diritti civili, un brano che in realtà comincia la sua lunga carriera
ben prima, sotto il titolo di I'll Be Allright oppure I'll Overcome, nelle
chiese battiste e metodiste d'inizio Novecento. Per poi essere adattato,
nell'immediato secondo dopoguerra mondiale, dai lavoratori neri in sciopero
a Charleston, in South Carolina, contro l'American Tobacco Company. Alcuni
di questi lavoratori la portarono al centro di formazione culturale e militante
dela Highlander Folk School di Monteagle, nel Tennessee, e forse loro stessi
o forse Pete Seeger tradussero in chiave collettiva l'«io»
delle prime versioni, introducendo quel «noi» che campeggia
nei cori degli studenti afroamericani per i diritti civili e in tutte le
successive elaborazioni.
Sono innumerevoli i fili come questi che Cartosio annoda pazientemente,
nel tempo e nello spazio, in una ricostruzione del divenire dei movimenti
nella quale raramente il processo cede il passo a modelli astratti o tesi
preconcette. Di questo divenire si sottolineano i poderosi effetti collettivi,
ma anche i limiti, le divisioni, le rotture. I lunghi anni sessanta non
si nasconde, ad esempio, «l'estraneità del Movimento nei confronti
del mondo del lavoro» sino a fine decennio, mentre nel frattempo
anche questa faccia a lungo nascosta del pianeta operaio ricomincia a incrociare
le braccia. Né si nasconde le tensioni fra bianchi e neri, fra studenti
più «politicizzati» e controcultura, fra maschi e movimenti
delle donne, o le contraddizioni di un fenomeno come Woodstock. Il libro
cerca con successo di tenersi al riparo da ogni mito: quello di chi appunto
risolve tutto con Woodstock e annega gli anni Sessanta in un fenomeno pittoresco,
uno scrollare apparentemente narcisista di capelli lunghi o di treccine
afro o un tintinnare di perline. E quello di chi pretende che non sia successo
nulla.
Passaggi di testimone
Con equilibrio ammirevole fra analisi e passione, in chi come lui ha
vissuto intensamente quegli anni, Cartosio conclude con due osservazioni
di sintesi che paiono incontrovertibili e che costituiscono anche un utile
punto di partenza per ulteriori ricerche. La prima, che ricorda un classico
brano di William Blake citato da Edward P. Thompson, è che «ognuno
dei movimenti sociali che si sono succeduti e intrecciati a partire dagli
anni Cinquanta creò aspettative, per così dire, più
grandi di sé, finendo per passare almeno in parte la ricerca della
loro soddisfazione ai successivi, che ebbero lo stesso ruolo, e così
via. Ognuno dei soggetti collettivi fu chiamato a rispondere a quanto era
lasciato inevaso dai precedenti, a rispondere a parte delle proprie domande,
a porne di nuove e a chiamare in scena nuovi soggetti».
La seconda è che «la dialettica che ha tenuto intrecciati
movimenti e società - i movimenti tra loro e ognuno con la mutevole
società - non è stata un processo lineare, tanto meno una
cavalcata trionfale». Perché «le conquiste dei movimenti
per i diritti civili e delle donne non hanno cancellato razzismo e sessismo,
né hanno impedito le ricorrenti messe in discussione di quelle stesse
conquiste». Ma neppure, aggiunge, bisogna dimenticare che «se
è vero che gli Stati Uniti in cui una donna e un nero si sono contesi
la candidatura alla Casa Bianca e in cui Barack Obama è stato poi
eletto presidente non sono quelli di prima degli anni sessanta... sarà
ben possibile concludere non solo che il cambiamento c'è stato,
ma che decisivi nel provocarlo sono stati i movimenti che hanno lottato
per l'abbattimento delle preclusioni nei confronti di tutti coloro che,
in modi diversi, erano stati esclusi».
Ecco delineata così l'agenda di ricerca per un altro volume,
un libro sull'altro segmento dei «lunghi» anni Sessanta, ovvero
la loro proiezione su quei primi Settanta in cui convivono residui di movimenti
e austerità, perentorio ritorno dell'economico e definitiva esplosione
delle istanze femminili. Cartosio pare la persona più adatta a esplorare
anche questo terreno. Magari, se posso avanzare una richiesta, con un po'
più di rock & roll di quello sciorinato in questo bel libro.