Una donna racconta di un'altra donna ed io
(donna), vorrei in occasione della festa della donna, narrare di loro.
Il titolo "Donna lombarda", sulla copertina del libro, è scritto
in verde; immagino che, se Bossi, dovesse, per caso in una libreria milanese,
notare questo libro, penserebbe subito ad una donna "padana", "leghista".
Padana, Anna la donna lombarda, lo è sicuramente se al termine padano
attribuiamo il suo significato geografico e non politico. Anna però
è "rossa"! Ma sto anticipando troppo e questo all'autrice credo
non piacerebbe.
Anche lei (l'autrice) dividendo il libro più che in capitoli
in brevi racconti, anticipa fatti di cui narrerà ancora nei capitoli
successivi. Ma lei sa farlo bene. Forse perché la storia è
sua; suoi i protagonisti; suo l'amore per Anna.
Capire Anna, non solo il personaggio che è stato nel contesto
storico in cui ha vissuto, ma capirla come donna, capire la sua vita, le
sue scelte ed il suo risvolto umano servirà all'autrice (o forse
soltanto all'io narrante), secondo me, a capire meglio anche quell'uomo
sposato in quel sotterraneo dove oggi vi è l'anagrafe mortuaria.
Nel 1947 invece lì vi era la sala ricevimenti dove venivano celebrati
i matrimoni di coloro che il vescovo di Prato "bollerà" per sempre
come pubblici concubini.
Capire Anna, per l'io narrante, vuol dire anche capire quello che un
tempo era stato il bambino di Anna; e che appena ragazzino, dopo la morte
di Anna e del marito Achille, viene gettato fra le unghie rapaci di una
zia isterica ed aggressiva in una Roma nettamente divisa fra ricchi e poveri;
e lui Franco, il figlio di Anna, è catapultato immediatamente fra
i poveri. In quella casa a Roma, Franco soffre molto, probabilmente lì
gli si forma quel carattere chiuso, quel rancore... Ma lei, l'autrice,
è di Anna che vuole sapere e poi capire e poi narrare a noi.
I sotterranei, a tanti anni di distanza, all'autrice, appaiono ancora
più squallidi dell'antico salone del matrimonio. Adesso lei è
lì per chiedere di Anna; per sapere almeno dove è sepolta
Anna. Poi, una vecchia zia cieca, su una terrazza davanti al mare, incomincia
a raccontarle la storia di Anna, la donna lombarda, maestra, socialista,
giornalista, segretaria alla Camera del Lavoro, e prima ancora orfana,
bambina, amante, moglie, mamma...
È una trovatella Anna, viene cresciuta inizialmente da una famiglia
povera che, come molte altre famiglie a quei tempi (era la fine del 1800)
nonostante i già tanti figli loro, andavano all'orfanatrofio a prendere
un orfanello da allevare per godere del suo sussidio. Successivamente Anna
verrà affidata ai padroni della cascina delle "Oche Nere". Anna
sicuramente proviene da una ricca famiglia, quando le suore la trovano
è tutta pizzi e nastri! Anna è intelligente ed in più
ha un sussidio che le permetterà di studiare. Anna è promessa
a Giordano, ma si innamora di Achille. Anna esce dagli schemi, dalle regole
e dai confini di quella vita che per anni e generazioni era stata identica
in quelle cascine alle porte di Milano e probabilmente in qualsiasi altro
dove.
L'autrice è come se ci prendesse per mano e ci conducesse non
solo incontro ad Anna, ma dentro il mondo contadino e rurale dalla fine
dell'ottocento alla fine della seconda guerra mondiale. La cascina delle
"Oche Nere", il mondo antico con le sue regole, le sue stagioni, con le
donne, la "regiora"; gli uomini, i mezzadri, i "famigli" i "bergamini";
e ancora uomini e figli e guerre e troppe guerre; e figli, tanti figli,
ma soprattutto figlie. Le ciliegie, le rane nei fossi e poi catturate e
mangiate, le uova fresche, il grano, i crisantemi, le mucche, le stalle
e ancora figli e donne. Carlotta, Giulia, Lisetta e tante altre, ognuna
con una propria storia, con un proprio percorso personale ed una propria
voglia di "liberarsi" in un modo od in un altro. Ma lei, l'io narrante,
è di Anna che vuole sapere e poi capire e poi narrare a noi...
E così alla zia cieca e a Carlotta ed a chiunque chiede: "E
l'Anna?" (proprio con l'articolo davanti come si usa dire in Lombardia).
Anna questa donna lombarda con i suoi capelli corti la sua voglia di urlare
nei comizi, ai tempi suoi come noi oggi, credeva nella pace, nella giustizia
sociale e nel socialismo.
Mi sembra importante pensare anche a lei l'otto Marzo.
Elisabetta Caravati, da http://www.rifondazione.it/savona