La democrazia reale. Il '77, le eterne esternazioni di Kossiga, le vetrine rotte di Bifo

 
Siamo a trent'anni dal 1977 ed è appena cominciata la prevista valanga di ricordi e commenti di alcuni dei peggiori protagonisti di allora. Quindi non poteva mancare - ce ne saremmo altrimenti sorpresi - una intervista del «Corriere della Sera» all'allora ministro dell'Interno Francesco Cossiga (Koooossiga boia, ricordate?), il quale, nel collaudato stile trasversale, tra il mafioso e il ricattatorio del quale è insuperato maestro, ripercorre da par suo alcuni dei momenti topici di quell'anno di svolta nella società italiana. Lanciando allusivi segnali, criptici per l'incolto, ma ben chiari per chi li voglia intendere, tali da far pensare che di scheletri nell'armadio, quell'ex presidente che si volle fare passare (con qualche buona ragione) per psicopatico, ne conservi una intera collezione. Scheletri, sia ben chiaro, che nelle sue intenzioni dovrebbero far paura a destra e a manca, ma che per molti di noi, che già allora denunciammo le trame repressive statali e della sinistra istituzionale, non fanno altro che confermare quanto si gridava in tutte le piazze d'Italia.
Per la gioia dei lettori, soprattutto di quelli che in quegli anni assaltarono generosamente il cielo, cercherò di riassumere il succo delle dichiarazioni Koooossighiane, riportando un piccolo florilegio delle tante chiamate in causa di cui il nostro, come si diceva, è maestro.
Si comincia con il cugino di primo grado Enrico Berlinguer che pose come condizione, per sostenere il primo governo Andreotti, che io rimanessi al Viminale e con il quale concordò questa simpatica linea di condotta: alla polizia avevo dato disposizione: se sono operai, giratevi dall'altra parte, se sono studenti picchiate tosto e giusto. Mai più i morti di Reggio Emilia e pazienza se a prenderle in modo tosto e giusto fossero anche le migliaia di proletari che affollavano, con gli studenti medi e universitari, i cortei di quegli anni. Per quelli in carcere ci pensava poi Pajetta, che amabilmente consigliò: ora che avete qualche terrorista in carcere, perché non gli date una strizzatina? Considerato che allora chiunque si opponesse da sinistra al compromesso storico era considerato un terrorista, e di compagni in galera ce ne era una marea, si può pensare che alle guardie carcerarie non dovessero mancare piacevoli straordinari. Magistrale, poi, la ricostruzione dei rapporti padronato-sindacato, con Agnelli e Lama che si accordarono per creare squadre di autoprotezione contro i sabotaggi in fabbrica. L'intesa avvenne al Viminale dove il presidente della Confindustria e il capo della Cgil però evitarono di incontrarsi. Restarono in due stanze attigue e io facevo la spola. Il tutto, chiaramente, è credibile, compresa la figura da manutengolo, ma resta il fatto che, anche se volessero, i due correi non potrebbero più smentire.
Ma questo è solo l'antipasto, il bello deve ancora venire.
Se la costante presenza in tutte le manifestazioni di agenti in borghese armati, fu contro la mia volontà, chiesi notizie al questore di Roma che negò, anche la decisione di impedire per un mese e mezzo qualsiasi manifestazione non fu, come è lecito aspettarsi, del ministro dell'Interno, ma fu Donat-Cattin che spinse molto per il divieto. Un altro quindi, che anche se volesse, non potrebbe più smentire. E così per l'assassinio di Giorgiana Masi, la militante radicale uccisa a Roma dalla polizia. Chiestogli chi fu a sparare, ecco l'esemplare risposta del nostro: la verità la sapevamo in quattro… e ora non la dirò per non aggiungere dolore a dolore. Quindi, sollecitato dal complice intervistatore, lascia intendere che quello fu "fuoco amico". Un capolavoro di menzogna e ipocrisia, per chiunque ricordi – ma siamo rimasti in pochi e questa pare essere la sua forza – la tragica dinamica di quella drammatica giornata, nella quale furono fotografati e identificati numerosi agenti in borghese nell'atto di sparare contro i manifestanti. Anche se, come detto prima, contro la sua volontà. Povera stella, che lavoro ingrato quello del ministro dell'Interno!
E si continua, con altre "rivelazioni" che di nuovo hanno che solo ora, finalmente, trovano conferma ufficiale. La Fgci e Cl furono le uniche a contrastare gli autonomi – e dai con questi autonomi, come se ci fossero stati solo loro – e quando a Milano cadde Custrà e venne scattata la famosa foto dell'autonomo che spara, fu una delle due organizzazioni – non dirò quale – a dirci il nome del pistolero. Una volta tanto possiamo comprendere la sua pelosa "reticenza", visto che, ricordando il ruolo che ebbero entrambe le organizzazioni, siamo certi che le cose andarono proprio così: una fece la spia e l'altra confermò. O, a scelta, l'altra fece la spia e l'una confermò. Per restare, infine, nel campo dei delatori, ecco spuntare Pecchioli, allora responsabile della sicurezza del Pci: siamo stati i responsabili della manipolazione del linguaggio: quando ci accorgemmo che i sovversivi facevano presa sugli operai – ma guarda te? – cominciammo a chiamarli criminali. Come si vede, l'arte di manipolare il linguaggio non è certo un'invenzione di questi giorni.
Che dire, dunque? Che dire di questa ricostruzione tanto strumentale quanto autoassolutoria di uno dei massimi responsabili della durissima repressione che nel 77 investì ciecamente chi cercava di contrastare i distruttivi progetti a venire del capitalismo? Che dire di questo servo dello Stato che, con compiaciuta ipocrisia, si rammarica di avere inviato, a Bologna dopo la morte di Lorusso, i blindati dei carabinieri con le mitragliatrici, accolti dagli applausi dei comunisti bolognesi dispiacendosi solamente che la chiusura di quello sfogatoio spostò molti verso le Brigate Rosse e Prima Linea. Se ne dispiace, poverino, come se non fosse chiaro che il progetto del potere era esattamente quello e solo quello, spingere quanti più compagni alla disperata risposta della lotta armata per poter meglio, e con più violenta legittimità, reprimere ogni forma di opposizione.
Bene, se questo è l'inizio delle "celebrazioni" del 1977, non c'è davvero da stare allegri. Dopo la batosta repressiva e la sconfitta dell'antagonismo sociale, anche lo scorno delle ricostruzioni ad hoc, con tanto di apparente gratificazione per i manganellati di ieri: "forse avevate ragione, ma a perdere siete stati voi, quindi pentitevi e non pensateci più!". Indubbiamente questo interessato "consiglio" non ha mancato di fare presa, in questi anni, e di smemorati e pentiti sono piene le redazioni dei giornali, le segreterie dei partiti e le trasmissioni televisive "di approfondimento". Ma fortunatamente non tutti hanno smesso di pensare o hanno deciso di saltare, disinteressatamente, ci mancherebbe! il fosso. E non parlo solo degli anarchici che continueranno sempre, per "mestiere", a non rassegnarsi e a mettere i bastoni nelle ruote degli ingranaggi del potere, ma anche di molti che allora furono nostri compagni di strada e che, a mio parere, continuano ad esserlo. Come quel tale Franco Berardi, più noto come Bifo, che evidentemente, pentito non è, se tuttora, rivisitando quegli anni afferma che sono questi, sono adesso gli anni veramente violenti. Tutto ciò che temevamo si è realizzato, la catastrofe psichica e ambientale. Era tutto chiaro. Non esiste più la politica, perché non esiste più la possibilità di modificare ciò che è iscritto nei meccanismi dell'economia, la logica della crescita a tutti i costi. E che aggiunge, a dispetto del suo apparente pessimismo, che il nostro obiettivo attaccava interessi concreti. La distribuzione della ricchezza esistente avrebbe tolto il potere a chi lo aveva. L'opposizione, la violenza venivano da lì. Le vetrine? Ricomincerei a distruggerle anche subito.
Fuor di metafora, sempre che di metafora si tratti, come dargli torto?

Umanità nova, 11 febbraio 2007