recensione di Girolamo De Michele, Carmillaonline, 29 maggio 2009
Il blog di Simona Mammano
Ci sono molte ragioni per leggere questo libro sulla lunga notte del G8. La prima è il racconto in sé. A distanza di anni l’italiano medio crede di sapere quello che è successo nella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 alla Caserma Diaz di Genova, più o meno. O forse: all’italiano medio piace credere di sapere. Gli piace credere che ci siano state “colluttazioni unilaterali” e “ferite pregresse”, che una “folla di facinorosi” abbia aggredito le forze dell’ordine “nel corso di una perquisizione per reati di pericolo”. Non è andata così: basta scorrere l’elenco dei feriti, riportato senza alcun commento dall’autrice alle pp. 149-150, per rendersene conto.
È solo un esempio di come procede la narrazione: aridi e scarni
documenti “ufficiali”, provenienti dagli atti processuali e interpretati
alla luce della requisitoria dei Pubblici Ministeri Zucca e Cardona Albini.
Carte ufficiali, tra le pieghe delle quali emergono una miriade di piccoli
dettagli, che forse anche a chi c’era, se non alla Diaz o a Bolzaneto quantomeno
a Genova, possono essere sfuggiti, a distanza di anni.
La seconda ragione è la tecnica narrativa dell’autrice. Simona
si è già cimentata, con Diaz
nel racconto: ma qui sceglie di montare testi altrui. Il narratore, di
fatto, non c’è: è la mano che ha cucito i pezzi del vestito,
che si ritira per lasciare spazio alla creatura. Non dice: è vero
perché lo dico io. Dice: ecco, questo è stato. E la sua creatura
prende vita proprio nel montaggio: quella vita che era prima delle carte
processuali, che è ridotta dal documento ad attestazione burocratica,
e che adesso si rianima nella rievocazione della macelleria
messicana.
La terza ragione sono i pezzi mancanti. Come scrive nella prefazione
Carlo Bonini, questo libro ottiene il risultato di «dimostrare, attraverso
le circostanze che sono state accertate, quelle che non lo sono state affetto
e quelle che non sono state neppure cercate». Su Genova, sulla sua
“interpretazione”, c’è una battaglia di verità che è
stata di fatto persa: la prima versione, quella televisiva e governativa,
si è imposta nell’immaginario nazionale. Per l’italiano medio Genova
era percorsa da orde di Black Bloc che devastavano a destra e a manca,
Carlo Giuliani stava assaltando un furgone dei carabinieri, le forze dell’ordine
sono state costrette a difendersi. Come ha spiegato Babsi Jones decostruendo
la strategia informativa che ha costruito a priori la legittimazione della
guerra contro la Serbia (l’annunciato bombardamento di un mercato, smentito
nel giro di pochi minuti dalla stessa emittente che aveva dato per prima
la notizia), il primo lancio di agenzia è quello che conta. Genova
è stata un macello. È stata un omicidio a sangue freddo.
È stata, anche, un esperimento mediatico: la balcanizzazione dell’informazione.
Ci vorranno anni – e l’esito è tutt’altro che certo - per rovesciare
l’immagine di Genova sapientemente costruita dai media. Nel frattempo,
è essenziale ricostruire un frammento dopo l’altro. Non un solo
fotogramma, non un solo documento è inutile. E la mappa dei buchi
e delle lacune è importante tanto quanto la cartografia di quello
che è stato accertato.
Un’ultima, ma non secondaria ragione per leggere questo Assalto alla
Diaz è l’autrice stessa. Che è una poliziotta, iscritta al
sindacato SILP-CGIL. Mettendo in gioco se stessa con questa narrazione,
Simona Mammano contribuisce, dalla propria posizione, ad allargare qualcuna
delle piccole crepe che pure si sono aperte nel muro della verità
ufficiale.