Il regista Bernardo Bertolucci, presentando a Venezia il suo ultimo
film, «I sognatori», che tratta del movimento del ’68, ha affermato
di aver voluto ricordare quel periodo sostanzialmente per tre motivi: 1)
perché il ’68 è stato ingiustamente rimosso; 2) perché
il ’68 è stato determinante sul piano della rivoluzione del costume,
favorendo per esempio la nascita del femminismo; 3) perché il ’68
fu un movimento idealistico, di ‘sognatori’ appunto, mentre oggi i giovani
sembrano aver perso ogni spinta ideale.
Il ’68 non è stato affatto rimosso. Da noi, a differenza di
quanto è avvenuto in Francia e in Germania, è durato quasi
vent’anni e per altri dieci siamo stati sommersi da citazioni sessantottesche
e postsessantottesche come testimoniano i film di un altro regista, Nanni
Moretti. E’ solo da alcuni anni, per restare nel campo, estremamente significativo,
dei film, che il cinema italiano si è ripreso uscendo finalmente
dalla impotenza creativa del ’68. Che adesso Bertolucci si metta a ‘chiagne’
e pretenda di riportarci a quel clima inconcludente è un po’ troppo,
visto che ne siamo usciti da pochissimo.
Il femminismo, la rivolta giovanile e gli altri movimenti che han cambiato
il nostro costume nell’ambito dei rapporti personali nascono tutti in epoca
precedente il ’68, non sono il prodotto di quella generazione ma della
generazione hippies e beat. Il ’68 invece, ad onta delle sue parole rivoluzionarie,
ha accompagnato e favorito la trasformazione della società italiana
in una società consumista e americaneggiante. Non è un caso
che Pier Paolo Pasolini, il campione dell’anticomunismo e dell’ antipermissivismo,
sia stato ferocemente, e coraggiosamente, antisessantottino. Il ’68 non
fu un movimento di idealisti. Fu nella stragrande maggioranza, e comunque
nei suoi leader, con rare eccezioni come Capanna, una storia di figli della
buona borghesia, viziati e coccolati, che non volevano affatto abbattere
l’odiato ‘nemico di classe’, ma incistarsi nel suo sistema ai massimi livelli
senza dover fare troppa fatica, com’è puntualmente avvenuto.
E se oggi i giovani sono disgustati dalla politica e hanno in sommo
sospetto ideali pubblici e rivoluzioni è anche perché la
generazione del ’68, col suo opportunismo, il suo trasformismo, il suo
cinismo, ha mostrato di quale pasta vergognosa siano fatti certi movimenti
«idealisti» e certi personaggi che iniziano contestando e finiscono,
una volta rientrati a casa di papà e mamma, alla direzione di grandi
quotidiani della borghesia.
"Ma fammi il piacere ...", di Luciano Nicolini (della redazione di "Cenerentola")
Il ’68 è stato rimosso molto in fretta, lo sa bene chi, per tutti
gli anni ’80, ha dovuto pagare, subendo ogni genere d’umiliazione, la propria
coerenza. Da noi, a differenza di quanto è avvenuto in Francia e
in Germania, è durato solo dieci anni, e per altri venti siamo stati
sommersi da insulti, come testimoniano i film di un altro regista: Nanni
Moretti. E’ solo da alcuni anni, infatti, che, dopo averci a lungo ridicolizzati,
ha cominciato a chiedere a D’Alema di "dire qualcosa di sinistra".
Che adesso Fini pretenda di riportarci a quel clima inconcludente è
un po’ troppo, visto che ne siamo usciti da pochissimo.
Il femminismo, la rivolta giovanile e gli altri movimenti che hanno
cambiato il nostro costume nell’ ambito dei rapporti personali sono il
prodotto della generazione dei beat e degli hippies: quella che ha fatto
il ’68 (e gli anni immediatamente successivi). La generazione precedente,
invece, aveva accolto con entusiasmo la trasformazione della società
italiana in una società consumista e americaneggiante. Non è
un caso che Pier Paolo Pasolini, il campione dell’ anticomunismo e dell’
antipermissivismo, sia stato ferocemente, e vigliaccamente, antisessantottino.
Il ’68 fu un movimento di sognatori. Fu un movimento di massa che riuscì
a coinvolgere, portandoli sul suo terreno, anche i cattolici e perfino
i figli della buona borghesia. Il fatto che molti di questi ultimi, alla
fine, abbiano abbandonato il campo e siano riusciti a inserirsi nel sistema
ai massimi livelli, senza dover fare troppa fatica, è uno dei risultati
della sua sconfitta.
Ma se oggi molti giovani hanno ancora ideali pubblici e sperano in
un mondo diverso è anche perché la generazione del ’68, col
suo egualitarismo, il suo umanesimo, i suoi sogni, continua a esercitare
un fascino che le generazioni che l’hanno seguita non riescono a esercitare.
Malgrado quello che scrivono certi personaggi, che iniziarono contestando
e sono finiti, una volta rientrati a casa di papà e mamma, alla
direzione di grandi quotidiani della borghesia.