Stefania Voli, "Quando il privato diventa politico: Lotta Continua
1968-1976", Roma Edizioni Associate, 2006
Vogliamo anche le rose, questo il titolo di uno splendido film di Alina
Marazzi che proprio in questi giorni sta facendo il giro delle sale cinematografiche
italiane.
Il lavoro di Marazzi – a metà strada tra il film e il documentario,
ricco di immagini e di suoni dell'epoca, annovera oltre alla brava regista
collaborazioni illustri tra cui spiccano come consulente storico uno dei più
attenti ed originali studiosi di quel ventennio Diego Giachetti e alla supervisione
dei testi una delle penne più brillanti del panorama letterario italiano
Silvia Ballestra – racconta e si colora delle storie di donne giovani
e meno giovani vissute a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, donne
in bilico tra gli entusiasmi, le paure, la voglia di cambiamento e l'incapacità
di cambiare realmente di un paese lento e sornione con la testa proiettata
nel futuro e con lo stomaco, la pancia, le gambe sprofondate in un passato
cupo e triste fatto di tabù, di chiusure ataviche, nere costrizioni
che si propongono e si ripropongono, ieri come oggi, nascoste sotto le tonache
e le barbe di vecchi e nuovi predicatori, sempre e rigorosamente di sesso
maschile, con la pretesa di decidere di corpi e di anime di cui dimostrano,
ieri come oggi, di non sapere nulla.
Storie di donne, quindi, come quelle che con efficacia, sensibilità
ma anche rigore scientifico, ci racconta Stefania Voli nel suo Quando il privato
diventa politico (Roma, Edizioni Associate, 2006, pp. 398, € 20,00).
Protagoniste anche in questo caso sono giovani donne che, spinte dall'ondata
contestataria che a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta
aveva travolto gran parte del mondo, decisero di investire tempo e “vita”
nell'impegno politico militando in quello che forse fu il gruppo della sinistra
extraparlamentare italiana più ricco, originale, movimentista e provocatorio
fra quelli nati dall'esperienza del '68, Lotta Continua.
Originalità, capacità di vivere il e nel movimento, grande
socializzazione e radicalizzazione dei militanti sia nelle realtà metropolitane
che in quelle di provincia, dal nord al sud, furono alcuni degli elementi
che caratterizzarono l'esperienza di Lotta Continua e che le permisero, da
una parte, di essere una delle formazioni più longeve tra quelle della
sinistra extraparlamentare e, dall'altra, di essere maggiormente e continuamente
esposta a provocazioni, accelerazioni e dilanianti contraddizioni. Fra queste
quella più evidente e forse dolorosa è rappresentata proprio
dalle donne di Lotta Continua che dovettero fare i conti con l'impronta maschile
e maschilista dell'organizzazione, impronta che risentì forse della
matrice originaria fortemente operaista del gruppo stesso (p. 7).
Eppure le donne ebbero un ruolo importantissimo nella storia di LC non solo
perché «aprendo le porte al femminismo» contribuirono all'implosione
dell'organizzazione, ma anche perché la presenza femminile fu massiccia
all'interno del gruppo sin dall'inizio:
Lotta Continua era un'organizzazione fortemente femminile – dice
Franca Fossati a Stefania Voli – con una grande presenza delle donne:
le donne erano in parte anche un'ossatura organizzativa, erano garanti della
continuità (p. 24).
Per illustrare «la complessità dei processi sociali»
che caratterizzarono quindi la nascita, lo sviluppo e la fine di LC, Voli
prende in esame, accanto ai dati più prettamente politici, quelli
riguardanti la vita interna dell’organizzazione, la militanza quotidiana,
le storie individuali. Secondo la studiosa «ad ogni fase vissuta da
Lotta Continua (risultato della sua esigenza di farsi portavoce di diverse
realtà sociali presenti nel paese), corrisponde un mutamento della
militanza di base e quindi delle vite personali di ciascun attivista»
(p. 9). La vita personale dei militanti, infatti, si intrecciava e si lasciava
condizionare dalle scelte politiche: «gli amici sono i compagni, l’amante
è innanzitutto la compagna o il compagno».
Questo rapporto di causa-effetto esistente tra la vita dell’organizzazione
e le storie individuali dei militanti si capovolgerà solo quando il
femminismo diventerà un movimento politico di rilievo che pretenderà
dal gruppo stesso cambiamenti radicali acquisendo la capacità di dare
al “particolare” la forza di imporsi sul “generale”.
Attraverso le storie di vita e di militanza, che per molti poi furono sostanzialmente
la stessa cosa per gran parte degli anni Settanta - «La vita»
sostiene una delle donne intervistate nel libro «coincideva, vita, amicizia,
amore, tutto coincideva in quegli anni. Per me è stata questa grande
esperienza» (p. 29) -, di donne e di uomini che vissero quella stagione
e fecero la storia di Lotta Continua, Stefania Voli ripercorre e ricostruisce
con precisione il clima e il contesto dell'Italia di quegli anni: dal racconto
traspaiono l'ansia, le trasformazioni, gli entusiasmi che spinsero molti
giovani (uomini e donne) a mettere in discussione la propria esistenza e
le proprie convinzioni.
Le vicende che si narrano nel libro sono quelle legate agli anni tra il
1968 e il 1976: dall'esplosione delle occupazioni studentesche allo scioglimento
di Lotta Continua. Il 1968 e il movimento che in quell'anno crebbe all'interno
delle Università ebbe un «valore di emancipazione dirompente»
per le donne che vi parteciparono (Luisa Passerini, Autoritratto di gruppo,
Firenze, Giunti, 1988, p. 134). Eppure il movimento si rivelò improntato
su valori prevalentemente maschili e l’emancipazione femminile stessa
si rivelò ambigua e attraversata da quelle stesse contraddizioni che
esplosero quando le donne entrarono a far parte dei gruppi extraparlamentari.
Le donne, infatti, sia durante il ’68 che dopo, ricoprirono posizioni
di quadri intermedi; pochissime furono riconosciute come leader: la donna
distribuiva i volantini davanti ai cancelli della fabbrica ma a scriverli
era un uomo.
Il movimento sessantottino, però, ebbe il merito di togliere il coperchio
al vaso di Pandora: da quel momento in poi le donne non poterono più
tacere fino a quando quelle contraddizioni esplosero con l’arrivo del
femminismo e con la necessità sentita sempre più forte dalle
militanti di “riprendersi la parola”. Il lavoro della studiosa
torinese, infatti, si chiude nel giugno del '76 quando a Rimini fu convocato
il Congresso Nazionale, il II ed ultimo, di Lotta Continua e le femministe
rivendicarono una propria centralità. Dopo questo momento fondamentale
e per certi versi drammatico nella storia della sinistra extraparlamentare,
le “compagne” che avevano affermato il desiderio della parzialità,
della diversità, della specificità dei propri bisogni si dispersero
nel movimento femminista senza, secondo Voli, fare i conti collettivamente
con LC e con le ragioni che l'avevano condotta alla resa finale (p. 200).
Il femminismo, per dirla con Guido Viale, protagonista del '68 torinese
e leader di LC, chiuse un’epoca. «Per una cultura fondata sul
dominio, sullo scambio, sui simboli (e per un maschio cresciuto a questa
scuola)» ha scritto Viale nel suo Il Sessantotto. Tra rivoluzione e
restaurazione (Milano, Mazzotta, 1978 nuova edizione Rimini, NdA, in via
di pubblicazione) «esso costituisce “l’impensato”».
Tema di questo libro – ha affermato Viale concludendo la sua presentazione
al testo del '78 – è il senso della liberazione (ed il senso
di liberazione: ogni significato rimanda alle emozioni del corpo) che attraversa
studenti ed operai nel momento in cui mettono in causa le forme specifiche
di dominio da cui sono stati oppressi per due decenni o per mezzo secolo:
la condizione sociale dello studente nell’università di massa
e l’organizzazione del lavoro nella fabbrica taylorizzata.
Ma è difficile anche solo immaginare il senso di liberazione che
attraversa una donna quando mette in causa una oppressione che dura da millenni;
e che, in questa misura, si radica nella natura impostale dall’intera
storia dell’umanità (che è innanzitutto storia del dominio
degli uomini sulle donne).
Un uomo deve accontentarsi di prender atto di questo evento che gli viene
incontro (e contro) cercando, per quanto è possibile, di adeguarvisi.
Si dilata improvvisamente l’orizzonte del suo mondo; ma le cose si rendono
più labili, e le certezze si fanno problemi. La realtà, quella
che si è cercato per millenni di dominare, non è più
ferma sotto i nostri piedi.
Dall'incontro felice tra la storia orale (assai interessante è la
sezione del libro Testimonianze in cui sono riportate integralmente le interviste
realizzate dall'autrice per realizzare il testo, pp. 213-349) e le fonti classiche
della ricerca storiografica, Quando il privato diventa politico ci restituisce
lo spaccato di un'Italia politicamente e socialmente assai diversa da quella
attuale. Il paradosso, però, (lo stesso stridente paradosso che non
può sfuggire anche a colui o a colei che guarda Vogliamo anche le
rose) è che dopo tanti anni, nonostante la tanto acclamata fine delle
ideologie, nonostante il “secolo breve” si sia chiuso lasciandosi
alle spalle lutti, guerre e stermini, nonostante la cosiddetta prima repubblica
abbia lasciato il posto alla seconda - nuova eppure straordinariamente e
malauguratamente simile nelle sue storture e nelle sue degenerazioni alla
prima – repubblica, bene nonostante tutto ciò le questioni che
spinsero tante donne a rivendicare il valore della propria diversità,
a lottare per la propria autonomia politica e a scoprirsi soggetto politico
sono ancora oggi drammaticamente irrisolte: libertà conquistate con
lotte dure e sacrifici sono costantemente minacciate, diritti che sembravano
ormai consolidati, ottenuti grazie alla tenacia, al coraggio e alla generosità
politica di migliaia di donne più di trent'anni fa, oggi vengono messi
in discussione e sembrano vacillare.
In quello che per dirla con Paola Cortellesi è diventato il Paese
del “Riparliamone”, in cui sembra normale e possibile ridiscutere
tutto, libri come quello di Stefania Voli e film-documentari come quello realizzato
da Alina Marazzi – sebbene molto diversi tra loro essendo l'uno un
testo storico e l'altro un prodotto cinematografico – sono importanti:
entrambi danno voce alle donne, entrambi parlano del vissuto di queste donne,
entrambi ci raccontano di nodi che sembravano ormai definitivamente sciolti.
Entrambi, a mio avviso, ci spingono comunque a porci delle domande e a riflettere
sui pericoli che minacciano l'esistenza delle generazioni attuali e di quelle
future, a valutare e riconoscere gli inganni che si celano dietro le parole
di chi parla sempre in nome di qualcuno di più grande, dietro i gesti
e gli atteggiamenti di chi ha la pretesa di possedere la verità spacciandola
come una ricetta valida per tutti.
«Essere una donna» ha scritto Simon De Beauvoir «non è
un dato naturale, ma il risultato di una storia»: le storie raccontate
in Quando il privato diventa politico e in Vogliamo anche le rose si incontrano
nella loro diversità e ci raccontano la Storia (quella con la S maiuscola)
di un passato di lotte, di umiliazioni, di sconfitte e di incredibili vittorie
che deve essere ricordato e custodito.
Silvia Casilio