Intellettuale e agente Cia Marcuse uomo a due dimensioni
«Alla fine della guerra i comunisti in Francia e in Italia erano probabilmente
così forti che un tentativo di presa del potere sarebbe stato giustificato.
A impedirglielo fu non solo la presenza delle truppe alleate ma anche l'interesse
dell'Unione sovietica di evitare una aperta rottura della alleanza militare.
In questa situazione i comunisti sono evidentemente giunti alla convinzione
di poter arrivare al potere tramite la collaborazione a una coalizione di
governo (…) La spettacolare crescita del comunismo in Francia e in Italia
sembra dovuta alle specifiche condizioni che esistono nei due paesi. In Italia
un mix di dominio fascista e di sconfitta bellica ha prodotto un vuoto politico
di cui ha approfittato un dirigenza comunista estremamente capace e brillante».
Così Herbert Marcuse nella introduzione a un documento di analisi
strategica datato 1 Agosto 1949 intitolato The Potentials of World Communism
redatto dall'Office of Intelligence Research del ministero degli Esteri americano.
Dunque il filosofo che negli anni di Weimar aveva per primo pensato di integrare
l'esistenzialismo di Heidegger (di cui poi divenne critico implacabile) con
l'opera di Marx, l'icona filosofica della ribellione giovanile del '68 in
Usa e in Europa e per questo messo sotto osservazione dalla Fbi, l'autore
di bestseller planetari come L'uomo a una dimensione o Eros e civiltà,
il critico intransigente della "tolleranza repressiva" delle società
di tardo-capitalismo di cui proprio quella americana era per lui il prototipo,
ha collaborato con i servizi di informazione statunitensi.
La notizia ha certo del clamoroso anche se voci in tal senso erano circolate
già ai tempi della rivolta studentesca. Ovviamente la vicenda venne
allora giudicata con estremo sospetto e condannata con molta durezza. Memorabile
in tal senso la contestazione, durante una conferenza tenuta da Marcuse a
Roma nel giugno del 1969 al teatro Eliseo, di Daniel Cohn-Bendit, che chiese
al filosofo tedesco-americano di giustificarsi per quei suoi «scandalosi
trascorsi» con la Cia. A dire il vero almeno da quando tra il 1975
e il 1976 era stato tolto il segreto che copriva le attività svolte
dalla sezione Mitteleuropa del Research and Analysis Branch (R&A) e dalla
sezione ricerche e analisi del Office of Strategic Services (Oss), poi inglobato
nella Cia, e grazie alla pionieristiche ricerche di Alfons Söllner documentate
nei due volumi apparsi in Germania nel 1986 col titolo Zur Archäologie
der Demokratie in Deutschland, si sapeva che durante il Secondo conflitto
mondiale alcuni intellettuali ebrei poi costretti ad attraversare l'Atlantico
per sfuggire alle persecuzioni naziste avevano collaborato con le autorità
americane fornendo analisi della società tedesca, delle ragioni della
sconfitta delle forze democratiche e repubblicane e dei meccanismi di funzionamento
del regime del III Reich. E che anche Franz Neumann, cui si deve la prima
analisi sistematica del regime nazionalsocialista apparsa nel 1942 col titolo
di Behemoth, e Otto Kirchheimer, il geniale allievo socialdemocratico di
Carl Schmitt e dello stesso Marcuse, avevano cooperato con il governo americano
anche dopo la fine della guerra. Per agevolare l'opera di denazificazione
della Germania e poi, scoppiata la Guerra fredda in Europa, per respingere
la minaccia del totalitarismo sovietico.
Solo che fino ad oggi non era stato possibile individuare con certezza l'autore
delle singole analisi. Adesso grazie a un imponente lavoro d'archivio condotto
dallo studioso italiano Raffaele Laudani negli US-National Archives del Maryland
è stata fatta piena luce su un capitolo fondamentale dell'emigrazione
ebraico-tedesca «da sponda a sponda», secondo la felice formulazione
di H. Stuart Hughes. Dunque conosciamo la paternità dei singoli documenti
che lo stesso Laudani ha raccolto e pubblicato in un volume di quasi 800
pagine apparso prima in inglese ( Secret Reports on Nazy Germany. The Frankfurt
School Contribution in the War Effort, Princeton University Press, 2013).
E proprio in questi giorni in tedesco col titolo Im Kampf gegen Nazideutschland.
Die Berichte der Frankfurter Schule für den amerikanischen Geheimdienst
1943- 1949 (Campus Verlag Frankfurt/ New York 2016) nella collana ufficiale
dell'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte diretto da Axel Honneth,
che in questa carica ha preso il posto di Jürgen Habermas.
La scelta di ritradurre in tedesco, nella lingua madre degli autori, testi
che questi avevano scritto in inglese ha una ragione stilistica e una politico-simbolica.
Infatti quando Herbert Marcuse, Franz Neumann e Otto Kirchheimer redassero
i loro report per il servizio segreto americano parlavano un broken English,
quell'inglese zoppicante tipico degli emigranti, che aveva fortemente limitato
le loro capacità espressive rendendo molto faticosa la loro lettura
e in qualche caso anche la loro comprensione. Inoltre nel riferire in inglese
citazioni e brani tratti da giornali, riviste e saggi tedeschi gli autori
erano incorsi in numerose imprecisioni o commesso veri e propri errori. Come
ad esempio usare differenti termini inglesi per la medesima parola tedesca.
Inoltre la decisione di ritradurre in tedesco questi scritti dall'esilio
è un simbolico gesto di gratitudine morale nei confronti di chi si
era impegnato nella lotta contro la Germania nazista. Il riconoscimento che
l'attività politica e culturale di chi aveva scelto la via dell'esilio
e poi esaminato criticamente la realtà della società americana
ha costituito uno dei presupposti spirituali che hanno consentito la straordinaria
metamorfo-si, quel «lungo commino verso Occidente» come l'ha
definito lo storico Heinrich Winkler, che ha fatto della odierna Germania
un paese democratico e liberale.
Un gesto, quello compiuto dall'Istituto per le ricerche sociali di Francoforte,
che inoltre archivia definitivamente la drammatica frattura, politica e filosofica
che negli anni '40 aveva contrapposto, come bene ricostruisce Laudani nella
sua ampia e documentata introduzione (e conferma lo stesso Honneth) Adorno,
Max Horkheimer e Friedrich Pollock a Neumann, Kirchheimer e Marcuse. I primi
convinti che il fenomeno del nazismo fosse parte di una più generale
processo di trasformazione che comprendeva tanto il comunismo sovietico che
le società democratiche dell'occidente e parlavano per questo di Staatskapitalismus,
di un nuovo ordine sociale in cui le ragioni del potere aveva- no definitivamente
sostituito quelle del profitto. Una visione catastrofica e pessimistica che
accomunava Hitler, Stalin e Roosevelt, Auschwitz, il Gulag e Hollywood da
cui nacque il colossale abbaglio chiamato Dialettica dell'illuminismo. I
secondi convinti invece che il nazismo fosse una forma di capitalismo monopolistico
tendenzialmente totalitario contro cui si poteva e doveva combattere in nome
dei valori dell'illuminismo e della emancipazione politica e sociale.
Ragione per cui, dopo la caduta del nazismo, ritennero necessario proprio
in nome del "vero" Marx opporsi al "marxismo sovietico" e alle minacce del
nuovo totalitarismo di Mosca, restando al tempo stesso critici delle degenerazioni
del tardo-capitalismo americano.
Angelo Bolaffi, "la Repubblica", 20 luglio 2016