L'uccisione, da parte di un carabiniere, dello studente Francesco Lorusso
e gli scontri che ne seguirono, nel marzo 1977, furono un trauma per la
vita politica di Bologna.
Oggetto del libro di Andrea Haijek non è la ricostruzione di
quegli eventi, bensì la memoria di essi in diversi soggetti sociali
e politici: la famiglia di Lorusso, i suoi compagni di lotta, il Pci, le
istituzioni locali (Comune e Università).
La memoria dei familiari ha sempre messo l'accento sugli ideali di
Lorusso, al fine di renderne la figura più accettabile all'opinione
pubblica, parte della quale lo considerava un violento, quasi un teppista,
morto in seguito ad uno scontro dove si era usata la violenza da entrambe
le parti: la polizia sparando, gli studenti lanciando molotov.
I compagni di lotta di Lorusso e coloro che negli anni successivi si
sono considerati eredi del movimento del 77, hanno sempre posto l'attenzione
sulla persistenza dei problemi che hanno causato la morte del proprio compagno
(repressione, chiusura del sistema politico alle istanze del movimento,
precarietà) e sugli ideali che rappresentava (la lotta per una società
più giusta).
Il Pci, che nel 77 aveva una posizione di contrapposizione al movimento,
successivamente mutò parzialmente posizione. La morte di Lorusso
venne paragonata alla morte delle vittime del terrorismo, sia di sinistra
(Graziella Fava, morta in un attentato incendiario) o di destra (le vittime
della strage della stazione di Bologna). Il Pci assunse un atteggiamento
autocritico rispetto agli incidenti del 1977, ammettendo le ragioni della
protesta ma criticandone la violenza.
Un primo elemento che emerge dall'analisi è che a volte vi sono
elementi che permangono nella trasmissione della memoria, altre volte la
memoria si trasforma nel corso del tempo.
Inoltre, nota l'autrice, spesso la memoria non è fissata una
volta per sempre, ma continuamente ricostruita nel presente.
Infine, non c'è una memoria condivisa: "differenti gruppi sociali
valutano la morte di Lorusso in modo differente". (p. 165)
L'analisi della memoria, o meglio, delle memorie dell'omicidio Lorusso,
conferma che le memorie del 68 e degli anni 70 sono generalmente divise
agli estremi opposti dello spettro politico: da un lato, memorie "mitologiche,
nostalgiche e celebrative, e la memoria del terrorismo dell'altra, sono
proprie della sinistra e della destra". (p. 53) La miopia di letture stereotipate
e pregiudiziali della realtà ha portato a volte a ricostruzioni
dei fatti errate, come quando Montanelli descrisse Lorusso come dirigente
di Prima linea. (p. 83) Oppure alla convinzione, espressa da qualche ex
esponente del movimento del 77, che "solo chi ha partecipato a quegli eventi
ha diritto di parlarne". (p. 51)
Queste "memorie divise" hanno un ruolo significativo nella costruzione
delle diverse culture politiche, nella costruzione delle identità
collettive e nel rafforzamento del senso di appartenenza. Gli anniversari
della morte di Lorusso divengono così "non semplici occasioni commemorative
ma anche occasioni per costruire identità nel presente". (p. 126)
Fabrizio Billi