L'arrivo nella città dei Mormoni, l'incontro con i nativi delle praterie, il lavoro nelle miniere. La vita di William «Big Bill» Haywood, uno dei fondatori degli «Industrial Workers of The World». I lunghi scioperi e la repressione costellata da omicidi mirati, linciaggi e arresti in massa. Infine la sua fuga a Mosca: l'autobiografia di Big Bill Haywood.
Le grandi figure delle lotte e dell'organizzazione operaia negli Stati
Uniti sono stati quasi sempre operai loro stessi. Molti di loro hanno pubblicato
autobiografie, più che scritti teorici: da Terence Powderly, dei
«Knights of Labor», a Samuel Gompers, padre padrone dell'American
Federation of Labor, a William «Big Bill» Haywood, Elizabeth
Gurley Flynn, Ralph Chaplin e «Mother» Jones, rappresentanti
dell'Industrial Workers of the World per buona parte della loro vita. Di
alcuni - uno dei più grandi, Eugene Debs, e uno dei più dottrinari,
Daniel De Leon - sono stati raccolti scritti sulla natura, teoria e strategia
dell'organizzazione politica e sindacale operaia, nessuno dei quali è
paragonabile agli scritti teorici degli intellettuali marxisti e anarchici
europei loro contemporanei (o a quelli, bisogna dire, degli operai fondatori
del movimento operaio negli stessi Stati uniti del primo Ottocento, la
cui cultura politica aveva radici profonde). La difficile saldatura tra
teoria e prassi politico-sindacale non è facilmente sintetizzabile.
Tuttavia, possono essere almeno ricordati alcuni degli elementi di difficoltà.
I tempi accelerati dell'evoluzione sociale, produttiva e politica che sovvertiva
continuamente l'ordine delle cose. La schiavitù, il nativismo xenofobo
e il razzismo che escludevano gli afroamericani e presiedevano all'emarginazione
iniziale dei gruppi immigrati poveri e non protestanti. Le diversità
di lingua, cultura, religione e composizione sociale d'origine che frazionavano
il mosaico dei milioni di immigrati operai ed erano sia l'ostacolo interno
alla loro unione, sia il vantaggio di partenza su cui i padroni potevano
contare per comandare tenendo divisi i lavoratori.
Infine, l'elemento su cui mette l'accento la parte finale dell'autobiografia
di Big Bill Haywood: la repressione, brutale e diretta, attuata con ogni
mezzo, dei movimenti sociali e politici di opposizione prima che la loro
esperienza potesse sedimentare la cultura politica necessaria a un'elaborazione
teorica non occasionale o di breve respiro. Con la repressione furono fatti
fuori i «Knights of Labor» dopo il 1886 - dopo gli scioperi
per le otto ore e i «fatti di Haymarket» che hanno dato il
Primo Maggio al mondo - e con attacchi ancora più brutali furono
distrutti tra il 1917 e il 1922 Iww, socialisti, comunisti, anarchici e
dissenzienti di varia natura. Senza l'eliminazione degli altri, forse l'Afl
non sarebbe rimasta l'unico filo di continuità nella storia del
movimento sindacale negli Stati Uniti.
La storia di una vita come quella di «Big Bill» Haywood,
nato nel 1869, raccoglie e racchiude gli elementi appena sintetizzati.
Le parole di un minatore irlandese e l'esperienza in miniera insegnano
all'adolescente Bill i rudimenti della lotta di classe e lo portano a entrare
nei «Knights of Labor», la prima organizzazione di massa dei
lavoratori negli Stati Uniti. Nel 1896, dopo che la repressione aveva pressoché
spazzato via i Knights of Labor, entra nella Western Federation of Miners
(Wfm), il combattivo sindacato dei minatori metalliferi dell'Ovest, nato
tre anni prima.
Nella Wfm, Haywood viene eletto segretario-tesoriere nel 1901. Ne diventa
anche la figura più popolare: grande e grosso, generoso, pieno di
energia, spirito combattivo e oratore trascinante, Haywood si conquista
la fiducia dei minatori in lotte di grande violenza. Diventa figura di
portata nazionale: nel 1905, sotto la sua presidenza, si apre a Chicago
il «Congresso continentale della classe operaia», l'atto fondativo
dell'Iww, cui la Wfm contribuisce il contingente più numeroso.
Da quel momento e fino al 1920, la storia personale di «Big Bill»
Haywood è indissolubile da quella dell'Iww. E' una storia a tratti
esaltante, in occasione di grandi vittorie come quelle dei minatori di
McKees Rocks o di Spokane del 1909 o dei tessili di Lawrence del 1912;
e a tratti deprimente, come nel caso della straordinaria lotta dei setaioli
di Paterson del 1913 finita con la sconfitta. Spesso Haywood finisce sul
banco degli imputati, come quando nel 1906 viene letteralmente, illegalmente
deportato dal Colorado all'Idaho perché una montatura di padroni
minerari, autorità politiche, polizia e agenti Pinkerton gli attribuisce
l'accusa di avere fatto assassinare il governatore dell'Idaho. In altri
casi le cose non sono così potenzialmente disastrose, ma l'antisindacalismo
padronale con cui tribunali e politica sono largamente conniventi - non
del tutto, per fortuna, come racconta lo stesso Haywood - rendono assai
dura la vita a lui e ai suoi compagni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Iww e i socialisti statunitensi
(incluse le diverse componenti «nazionali» che del Partito
socialista facevano parte) si dichiararono contro la guerra. E nel 1917,
dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti (e dopo la vittoria della Rivoluzione
in Russia), un'ondata di paura e di sciovinismo patriottico scatenò
contro di loro e contro gli anarchici una repressione isterica. Gli wobblies
furono destinatari di una violenza senza precedenti: sedi razziate e distrutte
dalla polizia; militanti linciati, picchiati, incarcerati a centinaia.
Più in generale, grazie alle leggi di emergenza varate ad hoc, migliaia
di oppositori furono processati e finirono in carcere, centinaia furono
deportati nei paesi da cui erano venuti; la stampa di sinistra fu sequestrata
e distrutta, soppressa, censurata o esclusa dalla circolazione. Archivi,
corrispondenza, carte, registri delle organizzazioni - dell'Iww in particolare
- furono sequestrati o distrutti. «L'Iww era paralizzata - ammise
Haywood nel 1920 -. Il ministero della giustizia aveva sbatacchiato l'organizzazione
come un bulldog sbatacchia un sacchetto vuoto».
Lui stesso, a quel punto, era stato in carcere per quasi due anni.
Uscito su cauzione, e ormai malato di diabete, ulcera allo stomaco e stanco,
organizzò l'Ufficio di difesa legale dell'Iww. Era anche tornato
a bere. Dopo un'iniziale fase positiva cominciò a perdere colpi
e i compagni che lo aiutavano, privi dell'esperienza di quelli in carcere,
non erano in grado di ovviare alle sue trascuratezze e sviste, ai suoi
errori e alla sua stanchezza. Inoltre, le tensioni interne erano acutizzate
dalle difficoltà economiche, legali e organizzative. Della sostituzione
di cui fu oggetto, con ritegno, scrive solo che «segretario del Comitato
generale di difesa venne eletto John Martin». Mentre faceva giri
di conferenze per raccogliere fondi e tenere viva una qualche opposizione,
giunse a conclusione il percorso legale che lo riguardava. La condanna
a vent'anni di galera avrebbe messo fine alla sua libertà su cauzione.
Invitato dai bolscevichi a espatriare nella Russia sovietica e a partecipare
al varo dell'Internazionale sindacale rossa, Haywood - che aveva partecipato
alla fondazione del Partito comunista negli Stati Uniti nel 1919 e si era
iscritto al partito - decise di lasciare il paese. Il 31 marzo 1921 si
imbarcava con un passaporto falso a Hoboken, sulla sponda del New Jersey
di fronte a Manhattan, sulla Oscar II diretta a Riga, in Lettonia. Uscito
sul ponte proprio mentre la nave passava davanti alla statua della Libertà,
scrive: «Salutando la vecchia megera con la sua fiaccola levata,
pensai: `Addio, per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel
paese della libertà'». Il racconto autobiografico di Big Bill
Haywood finisce qui. Le ultime poche righe sono dedicate al primo incontro
con Lenin, avvenuto qualche giorno dopo l'arrivo a Mosca: «Avevo
chiesto al compagno Lenin `se le industrie della Repubblica dei Soviet
sono dirette e amministrate dagli operai'. La sua risposta fu: `Sì,
compagno Haywood, è questo il comunismo'». Col senno di poi,
pochi gli avrebbero perdonato quella fiducia, che pure tanti altri allora
condivisero.
Agli anni di «Big Bill» in Urss fino alla morte nel 1928,
agli effetti negativi della sua «diserzione» - come la chiamarono
una parte dei suoi compagni - sull'Iww, e alla scrittura dell'autobiografia
sono state dedicate molte pagine. Alcune, per esempio quelle scritte dal
wobbly Ralph Chaplin vent'anni dopo la sua morte, sono condizionate dal
risentimento personale e dall'anticomunismo; in altre, come quelle in cui
Emma Goldman racconta dei loro incontri a Mosca, risaltano insieme l'umana
simpatia per l'antico compagno di lotta e la disapprovazione per la sua
assenza di critica politica verso i bolscevichi. I biografi come Peter
Carlson e gli storici, da Melvyn Dubofsky a Philip Foner, sono stati sostanzialmente
equanimi nei suoi confronti. A Mosca, Haywood fu accolto come un eroe,
scrive Carlson in Roughneck: «I delegati al Congresso dell'Internazionale
comunista lo applaudirono alzandosi in piedi»; ma il resto dei suoi
anni non furono altrettanto esaltanti.
A lui e a un altro wobbly di origine olandese fu affidata alla fine
del 1921 l'organizzazione della colonia industriale di Kuzbas, nel bacino
carbonifero di Kuztnez. Haywood prevedeva di far venire alcune migliaia
di minatori e tecnici dagli Stati Uniti, ma ne arrivarono meno di 500,
con mogli e figli al seguito. Poi, i problemi di salute costrinsero lui
a lasciare la Siberia per Mosca e la durezza della vita convinse molti
ad abbandonare il progetto. Haywood rinunciò all'incarico nel 1923.
Fece conferenze in giro per il paese e, dalle sue due camere nell'Hotel
Lux, iniziò la stesura dell'autobiografia. Tutti gli americani di
passaggio a Mosca gli facevano visita e molti giornalisti e militanti -
tra cui anche l'italiano Nicola Vecchi, dell'Unione sindacale italiana
- ebbero interviste con lui.
Da una di queste, concessa al corrispondente da Mosca del New York
Times, Walter Duranty, risulta che abbia detto: «Il problema di noi
vecchi wobblies è che noi sappiamo come dargliele ai crumiri, alle
guardie delle miniere e alla polizia, o fare discorsi di battaglia a una
folla di scioperanti, ma non la sappiamo così lunga come i russi
su queste cose ideologiche... Questi russi danno un mucchio d'importanza
alla teoria ideologica e, se non stanno attenti, finiranno per fare a pugni
uno di questi giorni». Stanco, malato, vinto dalla nostalgia e forse
dalla delusione, ma non cieco, il vecchio wobbly.
Nel 1948, Ralph Chaplin ipotizzò che tutto quanto Haywood scriveva
a Mosca, dalle lettere ai compagni negli Stati Uniti all'autobiografia,
fossero controllate. «Una cosa era sicura - scrive Chaplin con un'impossibile
certezza - le lettere di Bill mi sembrava che venissero scritte con qualcuno
che gli soffiava sul collo. Mi arrivarono voci che stava segretamente scrivendo
un diario in cui raccontava la storia vera delle sue esperienze nella `Patria
dei lavoratori' e che aveva predisposto le cose in modo tale che nel caso
della sua morte mi fosse trasmesso tramite un corriere». Gli storici
sono invece molto meno propensi a credere a un controllo esterno sulla
sua mano. Del resto, la qualità stessa dell'autobiografia - gli
scompensi, una qualche disorganicità e alcuni errori, ma anche la
vivezza non burocratica di tante parti della narrazione - non sembra sostenere
una tale ipotesi; sembra piuttosto corrispondere ai modi in cui potevano
funzionare un umore e una lucidità variabili e una memoria divisa
tra selettività, reticenza e impulso a dire la verità.
Di fatto, Haywood non tornò più negli Stati Uniti da
vivo. Due diversi attacchi di paralisi schiantarono la «vecchia quercia»,
come lo aveva definito affettuosamente Emma Goldman. Morì il 18
maggio 1928. Fu cremato e mentre metà delle sue ceneri furono sepolte
il giorno dopo ai piedi delle mura del Cremlino, a fianco di quelle dell'altro
americano John Reed, l'autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo,
l'altra metà fu spedita negli Stati Uniti, dove fu sotterrata nel
cimitero di Waldheim, dietro il monumento che ricorda i «martiri
di Chicago» impiccati nel 1887, e fianco a fianco con Lucy Parsons,
Emma Goldman, Elizabeth Gurley Flynn, Joe Hill, William Z. Foster e altri
wobblies e militanti della sinistra negli Stati Uniti.
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Lo spirito dei wobblies
prefazione al libro, di Bruno Cartosio
Le grandi figure delle lotte e dell'organizzazione operaia negli Stati
Uniti sono stati quasi sempre operai loro stessi. Molti di loro hanno pubblicato
autobiografie, più che scritti teorici: da Terence Powderly, dei
«Knights of Labor», a Samuel Gompers, padre padrone dell'American
Federation of Labor, a William «Big Bill» Haywood, Elizabeth
Gurley Flynn, Ralph Chaplin e «Mother» Jones, rappresentanti
dell'Industrial Workers of the World per buona parte della loro vita. Di
alcuni - uno dei più grandi, Eugene Debs, e uno dei più dottrinari,
Daniel De Leon - sono stati raccolti scritti sulla natura, teoria e strategia
dell'organizzazione politica e sindacale operaia, nessuno dei quali è
paragonabile agli scritti teorici degli intellettuali marxisti e anarchici
europei loro contemporanei (o a quelli, bisogna dire, degli operai fondatori
del movimento operaio negli stessi Stati uniti del primo Ottocento, la
cui cultura politica aveva radici profonde). La difficile saldatura tra
teoria e prassi politico-sindacale non è facilmente sintetizzabile.
Tuttavia, possono essere almeno ricordati alcuni degli elementi di difficoltà.
I tempi accelerati dell'evoluzione sociale, produttiva e politica che sovvertiva
continuamente l'ordine delle cose. La schiavitù, il nativismo xenofobo
e il razzismo che escludevano gli afroamericani e presiedevano all'emarginazione
iniziale dei gruppi immigrati poveri e non protestanti. Le diversità
di lingua, cultura, religione e composizione sociale d'origine che frazionavano
il mosaico dei milioni di immigrati operai ed erano sia l'ostacolo interno
alla loro unione, sia il vantaggio di partenza su cui i padroni potevano
contare per comandare tenendo divisi i lavoratori.
Infine, l'elemento su cui mette l'accento la parte finale dell'autobiografia
di Big Bill Haywood: la repressione, brutale e diretta, attuata con ogni
mezzo, dei movimenti sociali e politici di opposizione prima che la loro
esperienza potesse sedimentare la cultura politica necessaria a un'elaborazione
teorica non occasionale o di breve respiro. Con la repressione furono fatti
fuori i «Knights of Labor» dopo il 1886 - dopo gli scioperi
per le otto ore e i «fatti di Haymarket» che hanno dato il
Primo Maggio al mondo - e con attacchi ancora più brutali furono
distrutti tra il 1917 e il 1922 Iww, socialisti, comunisti, anarchici e
dissenzienti di varia natura. Senza l'eliminazione degli altri, forse l'Afl
non sarebbe rimasta l'unico filo di continuità nella storia del
movimento sindacale negli Stati Uniti.
La storia di una vita come quella di «Big Bill» Haywood,
nato nel 1869, raccoglie e racchiude gli elementi appena sintetizzati.
Le parole di un minatore irlandese e l'esperienza in miniera insegnano
all'adolescente Bill i rudimenti della lotta di classe e lo portano a entrare
nei «Knights of Labor», la prima organizzazione di massa dei
lavoratori negli Stati Uniti. Nel 1896, dopo che la repressione aveva pressoché
spazzato via i Knights of Labor, entra nella Western Federation of Miners
(Wfm), il combattivo sindacato dei minatori metalliferi dell'Ovest, nato
tre anni prima.
Nella Wfm, Haywood viene eletto segretario-tesoriere nel 1901. Ne diventa
anche la figura più popolare: grande e grosso, generoso, pieno di
energia, spirito combattivo e oratore trascinante, Haywood si conquista
la fiducia dei minatori in lotte di grande violenza. Diventa figura di
portata nazionale: nel 1905, sotto la sua presidenza, si apre a Chicago
il «Congresso continentale della classe operaia», l'atto fondativo
dell'Iww, cui la Wfm contribuisce il contingente più numeroso.
Da quel momento e fino al 1920, la storia personale di «Big Bill»
Haywood è indissolubile da quella dell'Iww. E' una storia a tratti
esaltante, in occasione di grandi vittorie come quelle dei minatori di
McKees Rocks o di Spokane del 1909 o dei tessili di Lawrence del 1912;
e a tratti deprimente, come nel caso della straordinaria lotta dei setaioli
di Paterson del 1913 finita con la sconfitta. Spesso Haywood finisce sul
banco degli imputati, come quando nel 1906 viene letteralmente, illegalmente
deportato dal Colorado all'Idaho perché una montatura di padroni
minerari, autorità politiche, polizia e agenti Pinkerton gli attribuisce
l'accusa di avere fatto assassinare il governatore dell'Idaho. In altri
casi le cose non sono così potenzialmente disastrose, ma l'antisindacalismo
padronale con cui tribunali e politica sono largamente conniventi - non
del tutto, per fortuna, come racconta lo stesso Haywood - rendono assai
dura la vita a lui e ai suoi compagni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Iww e i socialisti statunitensi
(incluse le diverse componenti «nazionali» che del Partito
socialista facevano parte) si dichiararono contro la guerra. E nel 1917,
dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti (e dopo la vittoria della Rivoluzione
in Russia), un'ondata di paura e di sciovinismo patriottico scatenò
contro di loro e contro gli anarchici una repressione isterica. Gli wobblies
furono destinatari di una violenza senza precedenti: sedi razziate e distrutte
dalla polizia; militanti linciati, picchiati, incarcerati a centinaia.
Più in generale, grazie alle leggi di emergenza varate ad hoc, migliaia
di oppositori furono processati e finirono in carcere, centinaia furono
deportati nei paesi da cui erano venuti; la stampa di sinistra fu sequestrata
e distrutta, soppressa, censurata o esclusa dalla circolazione. Archivi,
corrispondenza, carte, registri delle organizzazioni - dell'Iww in particolare
- furono sequestrati o distrutti. «L'Iww era paralizzata - ammise
Haywood nel 1920 -. Il ministero della giustizia aveva sbatacchiato l'organizzazione
come un bulldog sbatacchia un sacchetto vuoto».
Lui stesso, a quel punto, era stato in carcere per quasi due anni.
Uscito su cauzione, e ormai malato di diabete, ulcera allo stomaco e stanco,
organizzò l'Ufficio di difesa legale dell'Iww. Era anche tornato
a bere. Dopo un'iniziale fase positiva cominciò a perdere colpi
e i compagni che lo aiutavano, privi dell'esperienza di quelli in carcere,
non erano in grado di ovviare alle sue trascuratezze e sviste, ai suoi
errori e alla sua stanchezza. Inoltre, le tensioni interne erano acutizzate
dalle difficoltà economiche, legali e organizzative. Della sostituzione
di cui fu oggetto, con ritegno, scrive solo che «segretario del Comitato
generale di difesa venne eletto John Martin». Mentre faceva giri
di conferenze per raccogliere fondi e tenere viva una qualche opposizione,
giunse a conclusione il percorso legale che lo riguardava. La condanna
a vent'anni di galera avrebbe messo fine alla sua libertà su cauzione.
Invitato dai bolscevichi a espatriare nella Russia sovietica e a partecipare
al varo dell'Internazionale sindacale rossa, Haywood - che aveva partecipato
alla fondazione del Partito comunista negli Stati Uniti nel 1919 e si era
iscritto al partito - decise di lasciare il paese. Il 31 marzo 1921 si
imbarcava con un passaporto falso a Hoboken, sulla sponda del New Jersey
di fronte a Manhattan, sulla Oscar II diretta a Riga, in Lettonia. Uscito
sul ponte proprio mentre la nave passava davanti alla statua della Libertà,
scrive: «Salutando la vecchia megera con la sua fiaccola levata,
pensai: `Addio, per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel
paese della libertà'». Il racconto autobiografico di Big Bill
Haywood finisce qui. Le ultime poche righe sono dedicate al primo incontro
con Lenin, avvenuto qualche giorno dopo l'arrivo a Mosca: «Avevo
chiesto al compagno Lenin `se le industrie della Repubblica dei Soviet
sono dirette e amministrate dagli operai'. La sua risposta fu: `Sì,
compagno Haywood, è questo il comunismo'». Col senno di poi,
pochi gli avrebbero perdonato quella fiducia, che pure tanti altri allora
condivisero.
Agli anni di «Big Bill» in Urss fino alla morte nel 1928,
agli effetti negativi della sua «diserzione» - come la chiamarono
una parte dei suoi compagni - sull'Iww, e alla scrittura dell'autobiografia
sono state dedicate molte pagine. Alcune, per esempio quelle scritte dal
wobbly Ralph Chaplin vent'anni dopo la sua morte, sono condizionate dal
risentimento personale e dall'anticomunismo; in altre, come quelle in cui
Emma Goldman racconta dei loro incontri a Mosca, risaltano insieme l'umana
simpatia per l'antico compagno di lotta e la disapprovazione per la sua
assenza di critica politica verso i bolscevichi. I biografi come Peter
Carlson e gli storici, da Melvyn Dubofsky a Philip Foner, sono stati sostanzialmente
equanimi nei suoi confronti. A Mosca, Haywood fu accolto come un eroe,
scrive Carlson in Roughneck: «I delegati al Congresso dell'Internazionale
comunista lo applaudirono alzandosi in piedi»; ma il resto dei suoi
anni non furono altrettanto esaltanti.
A lui e a un altro wobbly di origine olandese fu affidata alla fine
del 1921 l'organizzazione della colonia industriale di Kuzbas, nel bacino
carbonifero di Kuztnez. Haywood prevedeva di far venire alcune migliaia
di minatori e tecnici dagli Stati Uniti, ma ne arrivarono meno di 500,
con mogli e figli al seguito. Poi, i problemi di salute costrinsero lui
a lasciare la Siberia per Mosca e la durezza della vita convinse molti
ad abbandonare il progetto. Haywood rinunciò all'incarico nel 1923.
Fece conferenze in giro per il paese e, dalle sue due camere nell'Hotel
Lux, iniziò la stesura dell'autobiografia. Tutti gli americani di
passaggio a Mosca gli facevano visita e molti giornalisti e militanti -
tra cui anche l'italiano Nicola Vecchi, dell'Unione sindacale italiana
- ebbero interviste con lui.
Da una di queste, concessa al corrispondente da Mosca del New York
Times, Walter Duranty, risulta che abbia detto: «Il problema di noi
vecchi wobblies è che noi sappiamo come dargliele ai crumiri, alle
guardie delle miniere e alla polizia, o fare discorsi di battaglia a una
folla di scioperanti, ma non la sappiamo così lunga come i russi
su queste cose ideologiche... Questi russi danno un mucchio d'importanza
alla teoria ideologica e, se non stanno attenti, finiranno per fare a pugni
uno di questi giorni». Stanco, malato, vinto dalla nostalgia e forse
dalla delusione, ma non cieco, il vecchio wobbly.
Nel 1948, Ralph Chaplin ipotizzò che tutto quanto Haywood scriveva
a Mosca, dalle lettere ai compagni negli Stati Uniti all'autobiografia,
fossero controllate. «Una cosa era sicura - scrive Chaplin con un'impossibile
certezza - le lettere di Bill mi sembrava che venissero scritte con qualcuno
che gli soffiava sul collo. Mi arrivarono voci che stava segretamente scrivendo
un diario in cui raccontava la storia vera delle sue esperienze nella `Patria
dei lavoratori' e che aveva predisposto le cose in modo tale che nel caso
della sua morte mi fosse trasmesso tramite un corriere». Gli storici
sono invece molto meno propensi a credere a un controllo esterno sulla
sua mano. Del resto, la qualità stessa dell'autobiografia - gli
scompensi, una qualche disorganicità e alcuni errori, ma anche la
vivezza non burocratica di tante parti della narrazione - non sembra sostenere
una tale ipotesi; sembra piuttosto corrispondere ai modi in cui potevano
funzionare un umore e una lucidità variabili e una memoria divisa
tra selettività, reticenza e impulso a dire la verità.
Di fatto, Haywood non tornò più negli Stati Uniti da
vivo. Due diversi attacchi di paralisi schiantarono la «vecchia quercia»,
come lo aveva definito affettuosamente Emma Goldman. Morì il 18
maggio 1928. Fu cremato e mentre metà delle sue ceneri furono sepolte
il giorno dopo ai piedi delle mura del Cremlino, a fianco di quelle dell'altro
americano John Reed, l'autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo,
l'altra metà fu spedita negli Stati Uniti, dove fu sotterrata nel
cimitero di Waldheim, dietro il monumento che ricorda i «martiri
di Chicago» impiccati nel 1887, e fianco a fianco con Lucy Parsons,
Emma Goldman, Elizabeth Gurley Flynn, Joe Hill, William Z. Foster e altri
wobblies e militanti della sinistra negli Stati Uniti.