Nel pieno del rapimento Moro, McLuhan dichiarò che la conoscenza
del terrorismo passava per la comprensione della sua comunicazione, perché
questa era elemento chiave della sua strategia, il primo dei mezzi di propaganda,
reclutamento e azione ideologica. Così, comprendere in che modo
si costruisce la percezione sociale del terrorismo nella sfera mediatica
si è rivelato un terreno fertile di ricerca, nel quale si inserisce
ora questo volume, nato da un panel dei Cantieri di Storia del 2005, che
raccoglie otto saggi sui terrorismi di destra e di sinistra, nell'Italia
degli anni '70 che si apre a Piazza Fontana.I diversi aa. si pongono uno
stesso fine: guardare ai modi della costruzione delle notizie, della comunicazione,
dell'interpretazione dei fatti violenti, per vedere in che termini le logiche
comunicative del terrorismo si sono intrecciate e sono state governate
da una sfera mediatica dove agivano interessi differenti, che non si sono
sempre posti in frontale contrasto con quelli terroristi. La prima delle
due parti in cui è diviso il volume, dedicata a come gli opposti
estremi politici hanno rappresentato la violenza, si apre con Giannuli
che problematizza la categoria di terrorismo quale risultato di un percorso
storico, giuridico e mediatico, prosegue con Guerrieri che guarda all'estrema
destra di Terza posizione e Panvini alla storia del quotidiano «Lotta
continua», dal '69 al '78. Nella seconda parte, l'attenzione si concentra
sui modi del racconto dell'informazione visti attraverso alcuni eventi
forti della parabola dei fenomeni violenti: il golpe Borghese (Dondi),
la strage di Peteano (Pastore), la vicenda Moro (Flamigni e Moroni), la
Germania della Raf (Tolomelli), la strage di Bologna (Oliva). Entrano allora
in scena depistaggi, disinformazioni, letture falsate in modo più
o meno consapevole ? con giornalisti informatori del Sid ? che disegnano
un processo composito, il quale nel costruire la realtà sociale
del terrorismo definisce, per converso, quella dell'antiterrorismo quale
pratica e quadro ideologico-culturale attraverso cui combattere e isolare
le pratiche terroristiche.Gli aa. si basano soprattutto su materiale a
stampa e in parte su alcune relazioni alla magistratura di Giannuli ? già
consulente delle Commissioni Stragi e Mitrokhin ? e nell'insieme sembrano
dar corpo a una definizione dello stesso Giannuli, che vede nel terrorismo
un «laboratorio della paura», un precipitato di interessi divergenti
che agiscono e strumentalizzano i modi di percezione della realtà
in funzione di obiettivi politicoideologici. I diversi saggi vedono questo
laboratorio come prodotto diretto delle logiche rigidamente binarie della
guerra fredda, finalizzato in primo luogo a ostacolare l'ascesa del Pci
e il suo ingresso al governo. Una lettura che può contare ormai
su una ampia e consolidata letteratura, e che, come dimostra quest'utile
e composita indagine sulla sfera mediatica, non manca di ricostruzioni
e spunti illuminanti, ma che, al tempo stesso, non riesce ad apparire esaustiva
della complessità del fenomeno terroristico e del contesto in cui
esso è maturato e si è espresso.