Margherita Becchetti, ce lo ricorda nella prefazione Antonio Parisella,
ha le migliori qualità che si richiedono ad una storica, il suo
carattere, infatti, è composto di gioia, ironia e rigore filologico
e metodologico, insomma sa essere seria senza essere noiosa, con allegria,
secondo il migliore spirito dissacrante, trasgressivo e intelligente che
caratterizzò i movimenti degli anni Sessanta e Settanta. E ancora,
a differenza di altri studiosi accademici, ultraspecializzati nelle loro
discipline, sempre più settoriali e specifiche, -i quali al di fuori
del loro ambito ristretto possiedono capacità di comprensione dell’uomo
e della società che non eccedono in generale il senso comune- l’autrice
ha saputo fondere competenze e livelli storico diversi: la storia politica
con quella sociale, di costume e del teatro, muovendosi in un quadro spazio
temporale che va dall’esperienza del gruppo teatrale di Parma a quella
di altri gruppi italiani, europei, statunitensi e viceversa. Diversamente
non avrebbe potuto essere trattandosi della storia della Compagnia del
collettivo, nata nel 1971, dalla tradizione del centro universitario teatrale
di Parma e del festival internazionale del teatro universitario, direttamente
coinvolta e travolta dall’ondata della stagione dei movimenti che va dalla
seconda metà degli anni Sessanta alla fine del decennio Settanta.
In questa periodizzazione Becchetti evidenzia la rottura profonda data
dell’evento sessantotto, senza enfatizzarla però al punto di farne
un dato unico, irripetibile, miracoloso, durato pochi mesi, ma cogliendo
invece la dinamica tra il “prima” che lo prepara e il “dopo” che segue.
Il lavoro si articola in quattro parti, la prima affronta le
origini e lo sviluppo dell’esperienza teatrale universitaria a Parma;
la seconda esamina gli effetti che l’impatto con la mobilitazione studentesca
provocò nella compagnia; la terza ricostruisce la nascita e lo sviluppo
di quel tipo di teatro che volle definirsi “di classe”; la quarta parte,
infine, si sofferma sul passaggio del collettivo teatrale a cooperativa
e la riscoperta del teatro popolare, fino alla crisi della seconda metà
degli anni Settanta e la nascita di Teatro due.
Il gruppo teatrale in questione segue un percorso comune, pur
nell’ambito specifico del loro operare, di una generazione che scopre la
rivolta esistenziale, degli stili di vita, nei confronti degli adulti,
costruisce le prime significative ma minoritarie avanguardie politiche
anticonformiste alla sinistra del PCI, per “esplodere” nel ’68 e nello
spesso dimenticato autunno caldo del ’69, quando per dirla con una delle
battute finali della protagonista del film di Bertolucci, I sognatori,
la strada entrò nelle case, cioè la dimensione pubblica,
collettiva della protesta invase e spalancò le porte del borbottio
critico ed esistenziale che premeva nel privato, nel chiuso delle stanze
dove i giovani riflettevano tristemente sulla loro condizione di vita.
E la dimensione pubblica e collettiva trionfò, riempì le
strade e le piazze, riscoprì la politica come partecipazione diretta
e in prima persona, come occupazione per cambiare il mondo, qui ed ora.
Il teatro, già attraversato dalla coscienza critica circa il suo
ruolo, messa in campo dalle sperimentazioni e dalle avanguardie degli anni
sessanta, fu costretto ad un apprendistato politico sul terreno della guerra
del Vietnam, della rivoluzione culturale e di una lotta di classe che riemergeva
prepotentemente nel presente e valorizzava, conseguentemente, quella passata:
di qui la fortuna di molte opere di Bertolt Brecht e del suo teatro riprese
dal gruppo di Parma che inseriva, qua e là citazioni tratte da Marx
e Che Guevara. Mutò anche repentinamente il modo di essere gruppo
teatrale e di fare teatro: la compagnia divenne un collettivo, senza capi
e gerarchie, un’assemblea di gruppo. Col pubblico si discutevano le rappresentazioni,
si trasformava il finale delle rappresentazioni in discussioni collettive,
si volle portare il teatro fuori da teatro, nei quartieri operai e nelle
borgate popolari. Il gruppo teatrale divenne strumento della lotta politica
e si concepì come parte di un più vasto movimento di protesta,
di contestazione, di lotta e di rinnovamento radicale. Si diede spazio
alla lotta operaia presente e passato, allo stesso modo dell’antifascismo,
vissuto in parallelo come riscoperta delle barricate di Parma e del movimento
degli Arditi del popolo del 1921, con quelli militante praticato dai gruppi
della sinistra extraparlamentare, nuova, giovane, rumorosa e generosa.
Il conflitto con i compiti della cultura, come la intendeva il PCI, tutto
compromesso storico, moderazione, e normalizzazione istituzionale del conflitto,
fu inevitabile. Si tentò, ancora una volta, di emarginare i dissenzienti,
di richiamare all’ordine e alla responsabilità verso il partito
gli intellettuali, di farne dei novelli suonatori di piffero per la politica
del partito, secondo la bella definizione dell’intellettuale modello PCI
data da Elio Vittorini nella polemica con Palmiro Togliatti negli anni
della rivista «Il politecnico».
In quest’ambito avvenne, parallelamente al mutare della situazione
politica e sociale nella metà degli anni settanta, il recupero del
teatro popolare a scapito di quello di classe: farsa, canzone, ironia,
sarcasmo, comicità divennero strumenti per rappresentare la propria
visione del mondo. Intanto si avviava alla conclusione la stagione dei
movimenti e, sul finire del decennio, la compagnia teatrale si trasformava
in Teatro due, cioè il secondo teatro nella città di Parma,
molte cose erano cambiate e i giovani studenti rivoluzionari erano cresciuti
ed erano diventati degli attori professionisti; il teatro come attività
professionale, lavorativa, imponeva una riproposizione della divisone del
lavoro all’interno del gruppo che soppiantava la tradizione e assembleare
e collettiva che si erano dati sull’onda della contestazione alle gerarchie.
La tensione teatrale militante, politica, si andava stemperando sostituita
da un impegno civile, professionale, intellettuale genericamente
a fianco delle battaglie della sinistra.
Diego Giachetti