Giorgina Arian Levi è stata consigliera comunale di Torino e
parlamentare per il PCI. Studiosa del movimento operaio italiano e sudamericano
(conosciuto nella migrazione causata dalle persecuzioni razziali fasciste)
è esperta, anche per esperienza diretta, sull’antisemitismo, l’ebraismo
e il razzismo in generale. Manfredo Montagnana ha conosciuto, da bambino,
l’esilio in Australia; insegnante universitario, comunista, è presidente
dell’Unione culturale “Franco Antonicelli”.
I due autori, appartenenti alla comunità ebraica di Torino,
tracciano in un testo agile e corredato da una bella documentazione fotografica,
il profilo di una famiglia nei suoi rapporti con la cultura ebraica e con
il movimento operaio piemontese negli anni della sua crescita, della pesante
sconfitta ad opera del fascismo, della guerra partigiana e della ricostruzione.
Tre le figure principali e note: Rita, la prima moglie di Palmiro Togliatti;
Elena, moglie di Paolo Robotti, comunista alessandrino, esule in URSS e
vittima del carcere staliniano; Mario, esule in Francia e in Messico, direttore
dell’”Unità”, dirigente del partito.
Accanto a queste tre figure, gli autori collocano molti altri componenti
la famiglia. Tutto sembra ruotare attorno o avere inizio dalla madre, Consolina
Segre, nato a Saluzzo nel 1868 e morta ad ottant’ anni di età, nel
1948, felice di aver potuto rivedere i figli che la persecuzione fascista
aveva sparso in tanti paesi del mondo. Madre di otto figli, vedova all’età
di trentacinque anni, la sua forza d’animo e il suo coraggio si manifestano
durante gli arresti e le persecuzioni dei figli, il loro esilio, la reazione
fascista che colpisce anche il loro quartiere, Borgo S. Paolo (è
commovente la scena del suo pianto dopo l’incendio della Camera del lavoro,
“la casa che gli operai si erano costruiti mettendo su soldo su soldo”).
Dalla madre ai figli (tranne una, Bianca, morta in tenera età),
con brevi medaglioni che mettono in luce più gli aspetti personali,
più i percorsi umani che le specifiche scelte politiche. L’ antifascismo,
la scelta comunista il legame con il mondo operaio sono inquadrati nell’ambito
familiare, nel quartiere. Anche l’esilio non presenta solo aspetti politici:
vi è spesso, la descrizione dei nuovi ambienti, delle dure condizioni
di vita. Non a caso, trovano molto spazio le lettere, le forme familiari,
soprattutto l’uso di uno strano gergo giudeo- piemontese che dà
un sapore particolare ai testi.
Gemma, madre di cinque figli (ma senza la guerra- diceva- ne avrebbe
avuti otto, come la madre), iscritta al PCI, ma timorosa, nel ricordo del
periodo fascista, di pericoli per i figli, anch’ essi impegnati.
Attiva anche Lidia, pur rimasta vedova con un figlio di due anni, capace
di impegnarsi nell’ Alleanza cooperativa e nell’occupazione delle fabbriche.
Sarà sorvegliata dalla polizia per tutto il periodo fascista.
In primo piano fin da giovane, Clelia, capace di tenere comizi, di
lavorare nel PSI, di partecipare ai moti per il pane e contro la guerra
nel 1917. Insegnante, perde, per le leggi razziali, il posto che ritrova
solo nel 1945. Attiva nel Soccorso rosso e verso i carcerati, non si iscriverà
mai al PCI, mantenendo una critica severa verso Stalin e l’URSS.
Quindi, Rita, sarta, nel PSI a vent’anni e nel PCI dalla fondazione.
Oltre ai fatti politici e più di questi (l’esilio in Francia, Svizzera
e URSS, la partecipazione alla guerra di Spagna, i tanti congressi internazionali,
la fondazione dell’UDI , la partecipazione alla Costituente) si ricordano
di lei l’umanità, la capacità di parlare con le operaie,
la sua attenzione alle loro condizioni di vita e di lavoro.
Ancor più avventurosa la vita di Mario, in cui si intrecciano
le aggressioni, il carcere, l’esilio in Francia, i frequenti rientri in
Italia, l’internamento in campo di concentramento, il soggiorno forzato
in Messico.
Travagliata la vita di Elena, tra l’esilio, il dramma del marito, comunista
arrestato e torturato in URSS e rimasto fedele all’idea e al partito. La
sua figura è spesso descritta da pagine dei due libri di questi:
La prova e Scelto dalla vita. Anche in lei rivive il clima del borgo S.
Paolo a cui è sempre legata, anche nel suo lungo “periodo romano”.
Anche Massimo, il più giovane dei fratelli, subisce le persecuzioni
razziali e politiche.
Il testo si chiude con due Montagnana, appartenenti alla generazione
successiva, Ugo, figlio di Clelia e Franco il figlio di Mario, quasi come
segno di una continuità. Eguale messaggio la foto di Manfredo, coautore
del testo, con la bandiera rossa, nella manifestazione di Torino, del primo
maggio 1975.
Il testo offre una immagine inedita, di una famiglia singolare, forse
unica, compatta anche nei momenti più difficili, in cui oltre all’influenza
della personalità della madre sono preponderanti l’ identità
ebraica e il rapporto con il crescere dell’ideale socialista nella Torino
operaia di inizio secolo. Da leggersi anche per cogliere di alcuni/e importanti
dirigenti politici il lato umano e familiare, quello che spesso non si
coglie nelle storie “ufficiali”.
Sergio Dalmasso