Per i curatori del libro di Antonio Gamberi, una raccolta delle sue
poesie scelte tra le circa 650 che egli ha scritto nel corso della sua
vita, si pone una domanda che riguarda principalmente gli storici, non
certo il personaggio in questione. Può la poesia diventare una fonte
utile e attendibile per ricostruire la biografia di un personaggio che
ha vissuto a cavallo dei due secolo trascorsi, l’800 e il 900, con uno
spirito militante conservato per quasi mezzo secolo?. La loro risposta
propende per il sì. Cosi Franco Bertolucci si è proposto
di analizzare la poesia di Gamberi come una fonte storica, un diario delle
esperienze, dei sentimenti, delle emozioni e delle passioni, una testimonianza
degli avvenimenti dell’epoca che hanno per cornice sia il territorio della
Maremma Toscana, con le condizioni di vita e le malattie che colpiscono
i minatori, il lavoro nei campi, la migrazione, e sia eventi nazionali
e internazionali, dei primi anni del XX secolo: dalla rivoluzione russa
a quella spagnola, dall’avvento del fascismo, alla morte di personaggi
illustri come Andrea Costa e Karl Liebknecht.
Tutte queste vicende storiche s’intrecciano con la vita, non facile,
di Gamberi, nato a Grosseto il 16 maggio 1864. La sua formazione è
quella di un autodidatta. Ha abbandonato infatti la scuola dopo la seconda
elementare, si è poi iscritto ad una scuola serale dove ha imparato
soprattutto le regole della grammatica e della sintassi. Cresce in un ambiente
in cui viva è ancora la passione per gli ideali risorgimentali e
garibaldini e ricca e fervente è la vita associativa del popolo
che si organizza nella prime società di Mutuo soccorso, nei circoli
democratici e anticlericali. Lavora come minatore e manovale e il tema
delle dure condizioni di vita dei lavoratori sarà sempre ricorrente
nelle poesie. Nella provincia maremmana il pensiero socialista comincia
a diffondersi al principio degli anni Novanta dell’Ottocento. Il suo socialismo
è una sorta di sintesi tra l’azionismo della tradizione garibaldina,
le concezioni umanistiche del primo socialismo di orientamento marxista
positivista e le teorie libertarie. Una temperie ideale, ammetterà
lo stesso Gamberi, che unisce i filosofi greci a Tommaso Moro, Giordano
Bruno, Fourier, Marx, Bakunin. Un socialismo originale, antistituzionale,
rivoluzionario e di classe, disprezzato in epoche successive perché
ritenuto “superficiale”, “primitivo”, non in linea con lo sviluppo “scientifico”
del socialismo e del marxismo. Del resto lo stesso Gamberi canta quel tipo
umano di militante socialista paragonandolo ai primi apostoli, sottolineando
l’accostamento, che c’era all’epoca, tra cristianesimo e socialismo.
A trentasei anni in una raccolta di poesie dal titolo Il mio
ritratto di se stesso dice di essere un “ateo convinto e fermo socialista”.
L’età giolittiana lo vede impegnato sul fronte della battaglia anticlericale
per la laicizzazione della scuola, per l’introduzione della legge sul divorzio,
nella denuncia dell’influenza sulla società e le classi subalterne
della cultura cattolica. Condannato per diffamazione a mezzo stampa nel
1907 emigra clandestinamente in Svizzera e poi in Francia.
Nella sua pubblicazione del 1913 della raccolta di poesie Ultime battaglie,
prende le distanze dal Carducci -che “dalle imprecazioni contro
‘i tiranni di fuori e i vigliacchi di dentro’, passa dalla famiglia dei
secondi, alleati coi primi, morendo senatore”- dal Pascoli, “professore
alla greppia sabauda” che “canta in un metro che sa di ninna nanna efficace
ad assopire il popolo”, e da D’Annunzio e la sua musa “floscia”. Rivendica
il ruolo della poesia militante nell’ambito della lotta per una società
più giusta, libera ed egualitaria. I suoi componimenti rispettano
regole metriche precise, una delle forme più usate è quella
del sonetto petrarchesco e i versi hanno rime molto spesso non banali..
Allo scoppio della Prima guerra mondiale decide di tornare in Italia.
Prende parte alla campagna neutralista. Per le sue posizioni intransigenti
viene denunciato e arrestato. Aderisce con entusiasmo alla rivoluzione
russa del 1917, quella di Lenin e Trostkij, ma prende subito le distanze
alle prime avvisaglie d’involuzione autoritaria. Partecipa con spirito
militante alle prime battaglie contro le nascenti squadre fasciste, nell’ottobre
del 1921 viene aggredito e bastonato dai fascisti. Nel 1923 si rifugia
in Francia dove continua al sua battaglie e la sua produzione poetica.
Non rientrerà più in Italia, morirà esule all’età
di ottant’anni a Juoef nel 1944.
Diego Giachetti