Il testo, elaborazione di una tesi di dottorato, ha, tra gli scopi dichiarati,
quello di ricercare le radici della crisi di identità della
sinistra italiana (in realtà, esclusivamente del PCI) di fronte
alle trasformazioni del mondo contemporaneo, crisi che, non casualmente,
nasce in un periodo di grandi cambiamenti (politici, sociali, internazionali),
quello degli anni 1956-1968. La scelta di utilizzare come categorie di
analisi ideologia e modernizzazione, rinnovamento e continuità non
evita però quel rischio di autoreferenzialità che peraltro
l'autore sembra avere ben presente (p. 11). E' un rischio che corrono tutti
coloro che si occupano di storia politica e a cui si può parzialmente
ovviare ampliando le fonti studiate, nella ricostruzione del contesto storico
e del dibattito culturale che si analizza: non è purtroppo il caso
di questo volume, nel quale le fonti utilizzate, sia pure intelligentemente,
si limitano, di fatto, allo spoglio di "Rinascita" e anche le testimonianze
di autorevoli dirigenti del PCI non vengono sfruttate come avrebbero potuto.
Risulta inoltre abbastanza misteriosa la mancata utilizzazione del materiale
archivistico della direzione del PCI "per problemi legati a vincoli di
riservatezza posti dal Partito dei Democratici di Sinistra che ne detiene
la proprietà" (p. 13). In ogni caso, dalla ricerca di Ragusa emerge,
una volta di più, una storia di "occasioni mancate" da parte del
gruppo dirigente del PCI, ancora fortemente vincolato dal legame
internazionale con l¹URSS e dalla necessità di
mantenere "l'equilibrio tra i due rischi estremi del settarismo massimalistico
e dell'opportunismo riformistico" (p. 16). Vincoli che incidono direttamente,
dopo il '56, nell'interpretazione del rapporto esistente tra socialismo
e democrazia, messo alla prova dalla nascita del centro-sinistra, di fronte
al quale, secondo l'autore, "almeno fino a tutto il 1962, nel quadro di
una scelta di morbida opposizione, la radice riformista emerse in una parte
importante del gruppo dirigente" anche se "nascosta sotto le raffinatezze
involute di un linguaggio assai criptico" (p. 101). Una radice riformistica
(ma sempre in guardia contro ogni possibile pericolo di "deviazione socialdemocratica")
che trovò in Giorgio Amendola il proprio principale rappresentante:
le sue critiche si concentrarono "contro lo schematismo settario e massimalistico"
rinvenuto nelle "posizioni di alternativa operaia (che) non potevano essere
quelle del PCI perché esse isolavano la classe operaia, distruggendo
il suo sistema di alleanze ed impedendole di svolgere una funzione nazionale
di classe dirigente" (p. 109). In definitiva, come nota lo stesso Ragusa,
nel tentativo impossibile di quadrare il cerchio, tra l'adeguarsi al nuovo
e il "rispetto della continuità storica", si preferì quest'ultima
(p. 136), anche tenendo in considerazione il dibattito che animava il movimento
comunista internazionale dopo la rottura tra sovietici e cinesi. Una strategia
sostanzialmente ribadita dall'XI congresso, tenutosi all'EUR nel 1966,
che vide la sconfitta di Ingrao e della sua linea pre-movimentista, e che
Ragusa legge, non a torto, strettamente collegata con quella successiva
del "compromesso storico". Non sorprende, quindi, che il gruppo dirigente
comunista uscito dall'XI congresso rimanesse stupito dalla contestazione
giovanile, con la sua carica antiistituzionale e assembleare, cui il PCI
tentò di contrapporre il "partito nuovo" (anche se risaliva a vent'anni
prima) con i suoi corollari, centralismo democratico compreso, come dimostrò
la radiazione del gruppo del "Manifesto". E, in fondo, il "compromesso
storico", proprio per la sua natura di "tentativo di aggiornare il tema
togliattiano delle alleanze, di fronte alla disgregazione degli interessi
e dei blocchi sociali messa in moto dal biennio movimentista" (p. 227)
assumerà un carattere difensivo, destinato a protrarsi sino alla
"solidarietà nazionale" ed oltre, nell'ipotesi, destinata al fallimento,
di riuscire a saldare rivendicazioni e riforme, mantenimento del legame
internazionalistico e partecipazione al governo.
Giovanni Scirocco