«Eppure in un momento di così grande disincanto come l'attuale il pensiero di Korsch, così radicale nella sua critica di ogni visione consolatoria del reale, così estremo nel suo rifiuto di ogni schema preconfezionato, ma anche così carico di speranza può ancora dirci qualcosa. Il suo coraggioso abbandono del marxismo in favore di un recupero radicale delle idee di Marx può ancora parlare alla mente (e al cuore) di una nuova generazione di rivoluzionari».
Prendo a prestito le parole dell'autore, stampate sul retro di copertina
per approcciarmi (schematicamente, ed in una dimensione culturale ancora
del tutto insufficiente, per essere davvero all'altezza della qualità
di riflessione che sarebbe richiesta) al più recente lavoro pubblicato
da Giorgio Amico, storico e ricercatore che ormai da anni si muove attorno
ai grandi dilemmi proposti dalla storia del '900. Un lavoro, di intenso
approfondimento intellettuale e di rigorosa ricostruzione storica, dedicato
a Karl Korsch ("Il rinnegato Korsch: storia di una eresia comunista", edizioni
Colibrì, 2004): giurista, filosofo, rivoluzionario di professione,
ministro, cospiratore, soldato valoroso, pacifista coerente, così
come Amico lo definisce nella Premessa.
Insomma: una delle figure più significative in quel tempo di
"ferro e di fuoco" dei primi trent'anni del secolo scorso: ma anche un
personaggio scomodo e, forse per questo, quasi mai evocato nell'ambito
delle ricostruzioni, più o meno "ufficiali" di quel periodo. Una
identità complessa quella di Karl Korsch, che rende complessa anche
l'opera redatta da Giorgio Amico (che effettua, anche un'opportuna incursione
nella pedagogia, attraverso la pubblicazione, in coda al volume, delle
note biografiche relative ai più importanti protagonisti, intellettuali
e politici, citati nel testo: a dimostrazione di una sensibilità
alla ricostruzione minuziosa della "memoria storica", quasi sempre trascurata
di questi tempi).
Diamo, allora, una qualche ragione a questo giudizio di complessità.
La lettura del testo di Amico ci riconduce, infatti, per intero agli interrogativi
classici sui quali il movimento rivoluzionario del '900 (e quanti hanno
tentato, nel tempo, di interpretarne le alterne vicende) si è arrovellato,
diviso, spaccato. Vien voglia di elencare in fila, questi interrogativi:
perché la Rivoluzione si realizzò "contro il Capitale"? Il
"Socialismo dei Consigli" rappresentò un'utopia, una invenzione
propagandistica, un traguardo negato? Socializzazione o Statizzazione?
Rivoluzione Permanente o Socialismo in un Paese Solo? La Terra ai Contadini
o la Terra allo Stato? Non avremmo finito, ma ci fermiamo qui: per carità
di testo.
Il punto vero, però, che emerge dal percorso che la lettura
del testo di Giorgio Amico ci propone riguarda, a nostro modesto avviso,
il rapporto tra militanza rivoluzionaria e riflessione teorica: un "essere
duale" che lo stesso Korsch impersonifica, vive dentro sé stesso
a fasi alterne e che molti (anche nelle generazioni successive) hanno vissuto
con eguale intensità (magari pervenendo alla fine, sul piano teorico,
ad approdi molto simili a quelli di Korsch: si pensi a Georgy Luckàs).
Il nodo tra militanza diretta e ricerca teorica si scioglie nel periodo
più terribile, nei quattro anni tra il 1934 ed il 1938 allorquando
i nazisti consolidano il loro potere in Germania e la Repubblica Spagnola
(cui Korsch dedica una grande attenzione, con particolare riferimento al
movimento anarchico) è definitivamente sconfitta. La ricerca, avviata
da tempo, sull'originalità della teoria della rivoluzione proletaria
consente a Korsch di far emergere i punti fondativi di quella che può
essere, ancora, indicata quasi come una linea d'orizzonte sulla quale stabilire
una continuità tra pensiero ed azione: mi riferisco alla definizione
di "criticità del marxismo".
Il risultato dell'individuazione del marxismo quale "strumento critico"
permette di usarne gli strumenti teorici per formare una scienza sociale,
i cui principi metodologici (della specificazione, del mutamento, della
critica) diventano comprensibili se si supera l'astrattezza e l'equivocità
di un principio storicista declinato in termini idealistici o relativistici,
misurandoci, invece, in funzione dell'applicazione di "specifiche leggi"
di cambiamento sociale, con l'obiettivo ultimo della liberazione dell'uomo.
Da questa necessità di usare il marxismo come "strumento critico"
e non positivo, derivano aspetti fondamentali di una "teoria critica della
società", che rappresenterà (e rappresenta ancora) il culmine
di una idea di alternativa radicale all'ordine esistente, che vale la pena
ancora di coltivare senza scindere la nostra capacità di proporre
riflessione e di agire l'iniziativa di massa.
Giorgio Amico accenna, e lo abbiamo già riportato, alla speranza
e ad una nuova generazione di rivoluzionari: sicuramente pensava a loro
quando si è impegnato nell'affrontare la non facile interpretazione
dell'opera di Karl Korsch, di cui è riuscito a fornire un'interpretazione
viva, stagliandone anche un ritratto chiaro rispetto ai tormenti della
sua epoca.
Oggi, come si può collegare la ricerca di teorica di Korsch
ad una ipotesi concreta di battaglia teorica e di impegno politico? Come
si può, in sostanza, reggere la "doppiezza" tra l'intellettuale
ed il politico? Il terreno più promettente, l'ipotesi sinceramente
più affascinante ci appare quella racchiusa nel titolo del più
recente lavoro di Halloway: "Cambiare il mondo, senza prendere il potere".
In quel titolo sembrano definite le coordinate adatte a misurarci con un
diverso raccordo tra società e politica, tra movimenti di massa
e prospettiva di trasformazione degli equilibri dominanti, tornando, così
e finalmente, a "pensare in grande".
La sinistra (possiamo ancora chiamarla rivoluzionaria? Senza appellativi,
tagliando via tutti gli "ismi"?) è chiamata a superare il proprio
paradigma fondativo, senza alcuna pretesa di ricerca un presunto "cristianesimo
delle origini", non considerando insormontabile il necessario mutamento
di qualità nell'esercizio della politica. Si può partire
dalla riflessione su quegli anni che abbiamo già definito di "ferro
e di fuoco", dall'analisi dell'opera di Karl Korsch (come ha osato fare
Giorgio Amico) per arrivare all'odierna ricerca da sviluppare sull'emancipazione
dalla logiche dominanti, con l'obiettivo di cambiare il mondo.
C'è un filo rosso che lega questo percorso e la riflessione
sull'opera di Karl Korsch, oltre ad indicarci con chiarezza i nodi da sciogliere,
ci può aiutare a ritrovare i punti sui quali riconnetterci, nel
tempo, per tenere assieme generazioni, esperienze, speranze, "nuovi rivoluzionari".
Franco Astengo, da http:www.rifondazione.it/savona