1. Stefano Merli: chi era costui?
A dieci anni dalla sua morte la figura di Stefano Merli, storico
e intellettuale ³militante² sembra quasi del tutto dimenticata
e comunque poco citata , come se la sua stessa opera appartenesse a una
epoca e a una stagione di studi ormai conclusa. Certo, se si guarda alla
voce "storia del movimento operaio", è da tempo ormai che questo
campo di studi ha perso di assolvere a quella funzione doppia che
ha avuto nella seconda metà del XX secolo, al suo essere cioè
al tempo stesso un campo e un oggetto specifico di studi e una sorta di
dottrina generale di riferimento, l'indicatore etico-politico della
verità storica e la conferma autorevole della giusta linea , ponte
tra passato e presente che illumina il senso e la prospettiva storica.
Questa sorta di "mandato", che la tradizione storicistica della cultura
di sinistra affidava alla verità storica nella lotta
per la conquista dell'egemonia, sopravvive a stento a quel crollo del comunismo
(che pure imporrebbe una revisione delle linee interpretative) e
mal si adegua al fatto che il soggetto stesso "movimento operaio"
non condensi in sé identità sociale e fisionomia politica
in termini speculari. Troppo spesso la polemica immediata e
la sua risonanza all'interno dell'opinione pubblica rivela un suo andamento
insieme strumentale e tortuoso, che obbliga a separare lo scontro
interpretativo immediato dal riscontro reale dei risultati, a fare
del cosiddetto "uso pubblico della storia" il criterio "vincente"
ed esclusivo del giudizio.
La figura e la ricerca storica di Stefano Merli appartengono davvero
a un campo che ha perso il suo primato, a una stagione "pionieristica"
degli studi? O a tutto ciò va aggiunto anche il fatto che
Merli è stato un tipico intellettuale "militante" della
sinistra e che proprio questa unità di ricerca e lotta interpretativa,
passione storica e critica dei modelli culturali ufficiali,
verità "scientifica" e verità politica, è anche essa
segnata,tipica di una stagione in cui lotta collettiva e lotta
sul terreno della teoria coincidevano di fatto?
Ho citato aspetti di ordine generale che possono concorrere a
spiegare le ragioni di rimozione, reticenza, cattiva coscienza che possono
agire rispetto alla domanda "Stefano Merli, chi era costui?" come
fossimo in presenza di una memoria ingombrante, una sorta di gentiluomo
d'altri tempi che si occupava di storia del socialismo ed era egli stesso
un socialista IRREGOLARE, uno di quei "perdenti" nella storia della
sinistra che tende a essere collocato in qualche modo ai margini
rispetto alla "memoria pubblica" della giusta linea (quale?) della sinistra
stessa. Quanto vale ancora oggi quella sorta di implicito veto,
che scatta nei confronti di intellettuali poco allineati e poco rivendicabili
alla propria famiglia? A ben guardare esso vale tutto sommato poco,
poiché comunque la scoperta o la riscoperta di tante
figure di intellettuali militanti "scomodi", non-regolari, critici,
di presunti cattivi maestri, di eretici e di non ortodossi, è
stata una delle costanti più significative inaugurate dal
crollo del comunismo e degli egemonismi precostituiti ed è
a sua volta un piccolo-grande "mandato" che le nuove generazioni si ritrovano
a verificare appena oltrepassano i confini della verità accademica
e delle interpretazioni dominanti (del resto nel suo impegno costante di
ricostruzione delle linee alternative, dei protagonisti dimenticati, del
rapporto fra culture egemoni e minoranze critiche, Merli è stato
a sua volta un campione indiscusso). Per questo va salutato
con soddisfazione il volumetto che amici e studiosi, sollecitati da
Carlo Carotti, han pubblicato in occasione del decennale della morte. Non
siamo in presenza di un atto dovuto o di un rituale, semmai di un primo
piccolo inventario delle molte ragioni che rendono importante occuparsi
di questo storico socialista e di questo intellettuale impegnato
nella ricerca di un "socialismo possibile".
2. Si può parlare di un "caso Merli"?
Il volumetto è dunque una prima tipica occasione possibile
per affrontare il "caso Merli", alla luce di quegli stessi
interrogativi critici che comunque in qualche modo han continuato a circolare
in sedi più ristrette o in discussioni casuali tra amici,
estimatori, collaboratori, allievi e compagni che lo stimarono ma non sempre
concordavano con lui, suoi interlocutori e testimoni. Il caso
Merli, se così vogliamo chiamarlo, è dato esso stesso dal
fatto che (al di là delle distinzioni che valgono per tutti-
fra opere maggiori e opere minori, opere che costituiscono un punto fermo
e scritti di minore merito) in qualche modo esiste un non-detto, una zona
di reticenze e di imbarazzo, che sfocia in modo più o meno implicito
nella distinzione fra un Merli "buono" e uno "nobbuono", sicché
una parte dei suoi stessi estimatori lascia trapelare una serie di "distinguo".
Non è sufficiente rispondere che a ben vedere c'è
in tutti, anche in coloro che han traversato e vissuto stagioni diverse,
assumendo posizioni di superamento e a volte di smentita delle proprie
precedenti, un nucleo costante, un tema, un filo conduttore che si tratta
di saper individuare ( il caso classico per decenni è proprio quello
di Marx: il "giovane Marx" va separato dal resto della sua opera
o c'è una costante di fondo , una linea di pensiero forte?).
La sostanza del "caso Merli" investe in questo caso due
questioni, distinte ma unite, la storia del socialismo, la collocazione
"politica" dello stesso Merli rispetto a essa. In parole povere essa
può essere riassunta così:
1) c'è uno Stefano Merli che si occupa della storia dell'autonoma
insorgenza di classe, del sindacalismo rivoluzionario, delle linee antagoniste,
delle politiche alternative allo stalinismo, di Panzieri, di Bosio, di
Montaldi. E' il Merli "socialista di sinistra" che apprezziamo o
riconosciamo . C¹è invece anche uno Stefano Merli che
si occupa dei socialdemocatici di sinistra, di Silone, di Caffi, di Matteotti,
e valuta positivamente la politica della "destra socialista", in
particolare Craxi. E' il Merli "nobbuono" che non apprezziamo.
2) C'è il Merli che coniuga insieme storia sociale e storia politica , critica "da sinistra" allo stalinismo e critica libertaria e di classe al riformismo. Altri studi e posizioni di Merli sono invece in contraddizione e rappresentano nel metodo un ritorno alla storiografia ideologico-politica e nei contenuti una convergenza con le culture del socialismo liberale.
Io credo personalmente che, se è vero che siamo in presenza in
periodi diversi di scritti diversi, occorre individuare principalmente
la DIRECTORY di fondo del suo lavoro e non disarticolarlo.
Intendo ritornare su questo aspetto più avanti ma mi preme dire
subito che siamo in presenza di una linea di ricerca operante su tre
piani diversi e tra loro connessi in modo imprescindibile: la storia della
³classe², cioè la storia della soggettività sociale,
degli antagonismi, del rapporto fra lotte e organizzazione, strumenti e
contenuti; la storia del socialismo come storia generale e però
come campo peculiare di identità del movimento operaio, intreccio
permanente di storia delle correnti e storia delle lotte; la ricerca del
³filo rosso² di quella che Merli chiama politica unitaria
di classe , dei momenti di alternativa possibile, dell¹ ³altra
linea², vista non come verità e pensiero
ma come pratica costruzione di strumenti ³unitari² e alternativi.
Si tratta pertanto di non negare (sarebbe sciocco proprio nei confronti
di chi come Merli ha impiegato la sua vita a studiare il rapporto non-lineare
fra continuità e discontinuità) le differenze e le discontinuità
ma di affrontare l¹insieme del suo lavoro.
3. L'organizzatore culturale Stefano Merli
Uno degli elementi biografico-culturali su cui soffermarsi è il nesso fra ricerca e organizzazione culturale in tutta la sua vita e il suo lavoro. Sia quando, ancora oscuro e misero ricercatore, al limite vero e proprio della sopravvivenza, organizza la documentazione e la ricerca con la Fondazione Feltrinelli in anni eroici eppure grigi (chi avesse in mente "iI lavoro culturale" di Luciano Bianciardi ricorderà cosa significasse allora miseria e nobiltà del feltrinellismo) e collabora con la prima generazione "pionieristica" degli studi di storia del movimento operaio e socialista conoscendo di persona i Gianni Bosio e i Della Peruta, i Cortesi, e via via tutti i nomi principali che oggi risuonano come i primi studiosi classici, attenti alle fonti, al documento, alla storia "minuta" accanto alla storia generale. Sia quando si dedica a organizzare e pubblicare i documenti dell¹Archivio Tasca e a saldare la scelta dei criteri con la ricerca più ampia dei carteggi, degli interlocutori, in una prima vera grande prova di ricostruzione del dibattito socialista fra le due guerre. Sia quando collabora con Panzieri per l¹istituto Morandi, cura gli scritti morandiani, il nesso di filologia è politica è ineccepibile, Merli non forza mai un testo per via del suo accordo-disaccordo politico, ma fa politica connettendo i testi. E questa sua straordinaria passione per le fonti sfocia nel suo capolavoro, la ricerca sulle origini del movimento operaio in "Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale", tanto che anche chi oggi rileggendo la sua opera ritiene comunque lecito muovere obiezioni di vario tipo sullo schema interpretativo (a partire dall¹uso del Lenin delle "origini del capitalismo in Russia " e dalla spregiudicatezza con cui Merli si misura con tutto il patrimonio interpretativo con vera padronanza) non può che rimanere sbalordito dalla mole enorme di materiali e di fonti d¹archivio, giornali, inchieste materiali, con cui lavora (per anni, con metodo, giornate intere alle biblioteche nazionali financo saltando i pasti, come ricordano gli amici). Ed è lo stesso criterio minuzioso con cui si dedica alla raccolta (salvando spesso fogli e lettere a cui nessuno badava) degli scritti di Panzieri, con un lavoro di completamento durato circa un decennio, forse più.
4. Gli scritti di Raniero Panzieri
Se si considera che in quegli anni Panzieri era comunque un mito della nuova sinistra e dell¹operaismo, che snobbavano tutta quella documentazione su Panzieri socialista come una stupidaggine (ci fu chi scrisse che non serve molto stabilire quanto c'è di Mazzini o di Proudhon in questo o quell'altro, come a dire che non serva a nulla stabilire quanto c'e di Hegel e quanto di Kant in Marx) o una fissazione mirante a documentare che comunque Panzieri era stato socialista (ma lo era stato per una quindicina d¹anni, non per tre mesi, e qualche ragione doveva pur esserci) , si può capire oggi l¹importanza del tutto: oggi che, va detto a vergogna e disonore della memoria storica della stessa ex nuova sinistra, nel quarantennale della morte (1964) nessuno ne parla più e l'unica cosa che rimane a disposizione è il lavoro di Merli, non certo le centinaia di tesine scopiazzate sui "quaderni rossi" con cui era facile laurearsi trenta anni fa. E' sempre lo stesso Merli, che certo era più vicino morandianamente a Panzieri quando ne ha raccolto gli scritti ma non si è dimenticato del suo "primo amore" nemmeno negli ultimi giorni della sua vita che pubblica con una casa editrice libertaria gli ennesimi scritti di Panzieri: solo che negli anni precedenti Merli si è occupato anche dell'archivio Faravelli, cioè di un socialdemocratico di sinistra che con Panzieri non aveva niente a che spartire, rivisitando gli anni trenta e quaranta, valorizzando quel "rinnegato Tasca" che ancora non viene digerito dalla storiografia pcista e i filoni del socialismo LIBERTARIO, a partire dal grandissimo e ancora troppo poco riconosciuto Andrea Caffi. Se si prova a guardare al metodo adottato e al suo nesso tutto intero con la individuazione della storia socialista come chiave di volta della storia del movimento nel nostro paese si può cominciare a capire qualcosa.
5. Le riviste
Poco frequentata ancora, direi tutta da scoprire, la vicenda del rapporto
fra Stefano Merli e le riviste, anzitutto le riviste "storiche", ma anche
quelle più strettamente teorico-politiche. In verità ci sono
state tre fasi, tre riviste, nella storia dello stesso Merli, e sono fra
loro di taglio marcatamente diverso. Mi riferisco da un lato alla "Rivista
storica del socialismo", dall'altro a "Classe", dall'altro infine
a "Socialismo-storia". Delle tre la più canonica, ormai un classico
degli studi, è la prima. La più amata dallo stesso Merli,
credo, che pure ne soffrì la crisi redazionale interna, è
stata "Classe". La più controversa, giudicata (del tutto ingiustamente)
come un ritorno all¹ovile socialista, la terza.
Non mi soffermo sulla "Rivista storica del socialismo" perché
è ormai quasi un luogo comune il riconoscimento della sua funzione-guida
nella ripresa degli studi storici, il nesso di continuità e discontinuità
con le polemiche fra Gianni Bosio e la storiografia più
vicina al pci e al gramscismo, l'intreccio (quasi una doppia linea
di ricerca) fra storiografia centrata sulle origini del Pci (Cortesi, ma
anche Merli, come è noto) e storia del socialismo tout-court,
compreso l'allora innominabile Filippo Turati. La bibliografia è
vasta, eppure sarebbe ora che venisse fuori anche attraverso lettere e
documenti la storia del contrasto stesso fra Cortesi e Merli, il passaggio
della rivista (chi tirava di più in quel senso) della rivista verso
la nascente nuova sinistra pre-68, il fatto che essa appare insomma come
un vero e proprio crocevia di più linee di ricerche, una rivista
di transizione nel senso migliore della parola.
"Classe" è stata invece tutta, nel bene e nel male, una creazione
originaria di Merli, il punto di incontro intelligente fra uno spazio di
ricerca inaugurato dagli studi su proletariato di fabbrica e capitalismo
industriale già in gestazione e mescolato al bisogno di una
nuova "analisi di classe" scaturita dalle lotte dell'autunno caldo.
L'idea stessa di coniugare storia "antica" della classe e storia più
che contemporanea, quasi-cronaca (si pensi alla pubblicazione di tutti
i volantini di lotta continua ai cancelli della FIAT), marxismo del metodo,
culture dal basso, storia materiale e lotta per l'alternativa, fa di questo
incredibile stupendo IBRIDO un materiale multiplo: sono gli anni degli
storici scalzi e della storia orale, ma anche del maoismo più ingenuo,
delle riprese di terzomondismi m-l, delle 150 ore e dei consigli
di fabbrica, c'è di tutto, il sacro e il profano, il serioso e il
militantismo, la generosità e la confusione ma anche tutti i capisaldi
delle ricerche storiche e politiche che stanno maturando nella nuova generazione
sessantottina e post Si può perfino ricostruire passo passo
il passaggio da un certo estremismo di inizio anni settanta ai nuovi apporti
e contributi di militanti pci dell¹ultima generazione, chi volesse
capire la storia culturale e politica della nuova sinistra non ha che da
sfogliare le sue pagine.
Proprio per questo "Classe" è stata forse e al tempo stesso
troppo amata da una generazione e troppo ingiustamente dimenticata oggi.
L'esatto contrario di "Socialismo storia", che allora qualcuno guardò
con freddezza mentre oggi risulta del tutto chiaramente la sua funzione
anticipatrice, il suo nesso col grande tema del socialismo "europeo",
quindici anni prima che diventasse aria fritta ulivista.
Chi si avventurerà troverà le sue sorprese. Ma se queste
tre riviste sembrano corrispondere a tre stagioni diverse della vita
politica di Merli, quella morandiana, quella operaista-psiuppina
e di nuova sinistra, quella riformista, il collegamento fra le tre stagioni
lo ritroviamo nelle riviste non sue cui Merli collabora: non va dimenticata
in primo luogo la celeberrima "Quaderni Piacentini", tenendo conto del
fatto che Merli era appunto piacentino e che però il suo rapporto
di collaborazione con la redazione della rivista fu saltuario. Perché?
Interessante ricostruire un percorso di amicizie e inimicizie, collaborazioni
e riserve mentali: storie del "settarismo di sinistra" di quegli anni?
Forse, anche. Rimane il fatto che su questa rivista esce ad esempio una
lectio magistralis, ovvero la bellissima ricerca su Curiel, che strappa
le facili appartenenze e ci riconsegna un Curiel in via di trasformazione,
una di quelle figure altro caso analogo è quello di Colorni
- in cui il giochino dei se ritorna lecito e bruciante: se intellettuali-politici
come Curiel e Colorni non fossero stati uccisi e si fossero ritrovati nel
dopoguerra con una sinistra togliattiana e nenniana , cosa avrebbero detto
e fatto? Certo, domande inutili. Ma aiutano a far capire a cosa e dove
lavorava Merli: come aiutano a capire i suoi scritti fondamentali
ancora oggi - su "Giovane Critica" di Giampiero Mughini ( fra cui un
durissimo e lucidissimo studio sul gramscismo come centrismo politico sui
generis, che non è solo il ricordo nel bene o nel male
della "lezione" dell'amico-avversario Cortesi, allora accusato di bordighismo,
ma un tentativo di modellare la cultura del socialismo di sinistra
psiuppino su moduli neo-movimentisti. Ricordo ancora come Pino Ferraris
ebbe a riappropriarsene ai tempi del rapporto unitario-conflittuale fra
Pdup e Manifesto e come invece Stefano se ne dolesse, considerando a sua
volta il suo testo come "datato" e non riproponibile. O gli scritti su
Morandi per "Unità Proletaria", i documentini e le rivistine
locali a Piacenza. Fino agli scritti su "Fabbrica aperta" di Sivano
Miniati per il suo riavvicinamento al Psi, o a quelli ultimi su "Mondo
Operaio".
6. Merli e la nuova sinistra
Non posso che rimandare al pur breve scritto uscito per questo libro in memoria di Merli, dato che il rapporto fra Merli e la nuova sinistra è stato anche in parte la storia del rapporto fra due ex socialisti che dopo il 68 si ritrovano con la nuova sinistra e ne fanno parte felicemente ( chi scrive ha iniziato la sua attività politica nel 1960 coi socialisti a Palermo, poi col Psiup nel 1964 ). Sono tali e tanti gli articoli, le recensioni, gli interventi di Merli in quegli anni sul ³Manifesto² da un lato e sul ³Quotidiano dei lavoratori² dall¹altro da meritare l¹ipotesi di un volume specifico. Vi ritroviamo il Merli organizzatore culturale e storico, che si occupa di taylorismo, di "altro movimento operaio" ( K.H. Roth, chi era costui? Eppure un suo libro importante furoreggiò in quegli anni), ma anche di Morandi e di Curiel, di Gramsci, del ¹77 e di Bologna. Il libretto-chiave rimane però quello sul"l¹altra storia "con Feltrinelli, il suo passare da Bosio a Montaldi ai giorni nostri dando ragione all¹uno e all¹altro e a nessuno, in un tentativo di nuova sintesi-superamento (era il 1977, non va dimenticato), un libretto che ebbe anche successo e fece discutere ( in primo luogo gli allievi ortodossi di Bosio e di Montaldi, incerti se essere contenti della riscoperta del maestro o se non accettare l¹interpretazione merliana perché appunto non-ortodossa ). Confonde le piste, rimescola i piani, certo rimarrà sempre difficile per chi ha le sue fedeltà e le sue medaglie conciliare un Bosio prima internazionale pre-lenin con un Montaldi comunista di sinistra internazionalista , ma l¹operazione- che pure è, come si suole dire, ³datata²- ha un suo spessore e una sua intelligenza critica acutissima: Merli ancora non lo sa e non lo dice, ci vorrà il suo approccio negli anni ottanta a figure diverse, a Silone , al socialismo dei fuorusciti in Svizzera, a Faravelli , a Gorni, a Caffi e alle tesi di Tolosa, ma sta parlando di socialismo LIBERTARIO, un metodo, un approccio, non una corrente ( che non è esistita, solo a tratti e solo a spezzoni) e lo riporta a rivisitare le origini, a scoprire l¹intreccio di culture nel riformismo socialist a e le sue radici immancabilmente libertarie. Vero, tutta questa è anche un Œinsalata mista: se tutto rientra o può rientrare nel socialismo libertario questo è un po¹ come l¹isola che non c¹è di Peter Pan. Ma in fin dei conti chi parlava di ri-classificare le culture politiche,( termine poi perfino abusato negli anni psiuppini) se non Morandi, che tanti continuano a vedere come lo stalinista di ferro del Psi nenniano. E chi scrisse che lo STATALISMO della Seconda e della Terza Internazionale ha spezzato le reni del movimento operaio e che il socialismo o sarà libertario o non sarà? Ancora una volta Morandi.( con una scoperta posteriore da parte di Merli stesso: vale a dire che queste posizioni di Morandi erano influenzate e tenevano conto del dibattito ³svizzero¹², delle posizioni appunto di Faravelli e di Caffi che erano andati dicendo le stesse cose). Intendo dire con ciò ( e mi sembra che in parte Fabrizio Billi abbia colto questi passaggi come aspetti singolari della teoria merliana del ³filo rosso²) che l¹incontro-salutare,nonostante tutto- di Merli con la nuova sinistra produce a sua volta in quegli anni un passaggio interessante: il Merli psiuppino=pduppino che prende contatti col Manifesto e pensa a un¹organizzazione di nuova sinistra non ha problemi nel definire il suo approccio come neo-leninismo, anche se non si dichiara mai ³ comunista², il Merli che con Foa e Miniati si avvicina ad Avanguardia Operaia e segue il percorso che sfocia in Democrazia Proletaria è già oltre, è per la nuova sintesi e la nuova ³riclassificazione², è ³ più a sinistra² non perché gli piacciano i marxisti leninisti ma perché non si fida più del suoi compagni ex-psiuppini e cerca di contribuire al nuovo dibattito. Il Merli che di nuovo riclassifica ha vissuto intanto gli anni di piombo, ha rimeditato sul nesso terrorismo- comunismo, ha preso atto che il movimento del 77 non sa fare i conti con chi alza le tre dita, ha seguito il caso Moro e le posizioni di Craxi. Sono anni convulsi, difficile misurare le posizioni del Merli 77 con quello della metà degli anni ottanta, ma l¹acqua che è passata sotto i ponti è passata per tutti. Il ³ socialismo libertario² di cui adesso si occupa è un modo per coniugare insieme la lezione critica della nuova sinistra e della sua ricerca mancata di un Œaltra linea con la lezione critica di altri libertari e altri socialisti nell¹interrogarsi di fondo sul blocco della cultura comunista. Se infine egli stesso sviluppa la tesi dell¹influenza di fondo del PROUDHONISMO nel socialismo italiano in TUTTA la sua storia è ragionevole che un anarchico gli risponda: ma quando mai? Ma dove sono i proudhoniani? Non è esistita una corrente proudhoniana nel socialismo italiano. Ma chi risponde così crede davvero che le cose siano andate come dicono i congressi , da un lato Turati e dall¹altro gli anarchici, tutt¹al più in seguito c¹è stato Francesco Saverio Merlino che ha provato a rivisitare la questione, basta così. Eppure il ³proudhonismo² cui accenna Merli non è una sua mattana, è il riconoscimento di partenza dell¹originalità storica della cultura socialista italiana e dell¹opportunità di sapervi leggere una riscoperta del primato del sociale sul politico, una critica del politicismo, uno spessore libertario che si mescola col classismo e con lo stesso riformismo ³emiliano², un tratto identitario di fondo che non si spiegherebbe diversamente. E quando accenna al fatto che ANCHE Panzieri aveva dei tratti di proudhonismo è inevitabile l¹apriti cielo: un panzieriano ( ma chi? Esistono i panzieriani o le ultime posizioni di un Toni Negri dimostrano che in fondo gli ³operaisti² hanno tirato per la giacca Panzieri ma , in fin dei conti , meglio occuparsi delle teorie disciplinari dei foucaltiani ) negherebbe scandalizzato, ma anche un anarchico negherebbe. Conoscendo la serietà e il rigore documentativo di Merli non ha senso pensare che egli abbia voluto fare solo una battuta provocatoria, la verità è un Œaltra: per tutta la vita, fin dai tempi della Feltrinelli, Merli si è occupato di storia del socialismo, ne ha studiato i percorsi e le crisi, ne ha riconosciuto l¹originalità e il miscuglio culturale di fondo, adesso che la sua maturazione politica veniva convogliandosi sull¹analisi delle peculiarità specifiche del riformismo si stava impegnando a rivisitare tutto. La morte lo ha colto prima che questa impresa producesse nuovi sbocchi. E infine la dissoluzione successiva dello stesso partito socialista dopo ³ Mani pulite² aveva spazzato via il soggetto stesso, spingendo Merli a isolarsi o a diffidare dell¹intera sinistra. Ma tutto ciò non significa affatto che i problemi storiografici da egli posti siano stati affrontati. Per una sorta di cattiva coscienza , direi, che spinge a tacere tanti, al punto che nessuno ad esempio osa porre la domanda più elementare: ma cosa c'entra un SOCIALISTA ( SUI GENERIS, certo, non etichettabile tout-court) come Fausto Bertinotti con un partito che si chiama rifondazione COMUNISTA?.
7. I tre piani della ricerca e del metodo in Merli
Che sia giusto sottolineare contraddizioni e problemi nell¹interpretazione
di un possibile "caso Merli" è necessario e opportuno.
Per ciò che mi riguarda ho ricordato però all¹inizio
che occorre individuare i tre livelli distinti (la metodologia della "storia
della classe", la lezione integrale di una "storia del socialismo" come
tratto peculiare della cultura politica della sinistra italiana, la ricerca
di un "filo rosso" dell¹alternativa politica da individuare nel nesso
fra strumenti organizzativi e modelli politici) del lavoro
di Merli e il loro connettersi
Punto di congiunzione fra questi tre piani è la
concezione (morandiana, ma poi anche panzieriana) del partito-strumento
, ovvero la tesi secondo cui il soggetto dell¹azione politica
è "la classe" (detto in questo termini sembra la classica "ipostatizzazione",
la scelta ideale di un soggetto astrattamente eguale a se stesso, ma
in realtà sia Morandi, che Panzieri che Merli rifuggono
da questa lettura, che è invece il caposaldo del cosiddetto
"operaismo" di Tronti/Negri etc.), di cui si riconosce materialisticamente
(richiamo di Panzieri a Della Volpe) la soggettività multipla,
il suo strutturarsi-destrutturarsi come un continuum, un farsi.
In questo senso il partito è "lo strumento" che il soggetto-classe
si da per organizzarsi, non è dunque né pura e semplice
sovrastruttura che passa e va né come nella tradizione
comunista tutta intera- la coscienza esterna che diviene organica,
la linea che possiede per origine divina l¹egemonia, che
è sempre l¹esplicazione della verità e non può
essere messa in discussione nemmeno dalla "classe".
Si badi che la questione dello strumento, posta nei suoi termini materialistici
o sociologici, non è più questione di principio: il nodo
classe-partito è dato dalle ARTICOLAZIONI UNITARIE che il soggetto
si dà (con fusione di organizzazione e cultura). In questo senso
per Merli non esisterebbe mai una "autonomia operaia" pura, tutta
"fuori" dai partiti e dalle organizzazioni operaie o tutta alternativa
ad esse; in questo senso per fare l'esempio caro a Merli stesso
- una rete organizzativa e politica come i consigli di fabbrica e anche
i consigli di zona sono il risultato di questo intreccio fra autonomia
del soggetto e organizzazione POLITICA degli strumenti . In questo senso
va anche il piano di ricerca storica: occuparsi di storia del movimento
operaio significa per Merli contemporaneamente occuparsi di storia
materiale e di storia politica, di conflitto sociale e di modelli
culturali operanti nel movimento: storia della soggettività sociale
e storia del "socialismo" come movimento politico sono distinte
e unite, ed è qui che "il filo rosso" diviene materialmente
la cartina di tornasole: non si tratta di occuparsi di chi era "più
a sinistra" del Pci etc. per dimostrare che aveva ragione, questa è
ancora la storia ideologica delle elites e delle minoranze, la rissa degli
orrodossi e degli eterodossi. Quel che preme a Merli rilevare è
la materialità organizzata della politica alternativa unitaria,
il fatto che essa è presente dentro il movimento e anche se non
vince la lievitare e sedimentare, sposta le cose, ricompone a livello più
avanzato le pratiche di lotta.
Io credo insomma che mettendo in collegamento questo triplice filtro
con i vari momenti della ricerca e della biografia politica dell¹intellettuale
militante Stefano Merli si faccia in primo luogo un atto dovuto nei suoi
confronti, evitando di tirarlo per la giacca, di prendere ciò che
piace e metter via ciò che non piace. Ed è questa quasi una
pre-condizione perché si possa a dieci anni dalla morte rivisitare
l'opera tutta intera alla stregua di un maestro che ha ancora cose
da dire a una sinistra vecchia e nuova che continua a fingere di
avere delle cose da dire.
Attilio Mangano