L'immagine della ragazza che si distende nel fango, fradicia, eppure
sorridente e in cosmica armonia con se stessa e il mondo, è un classico
degli anni Sessanta. In quella foto - scattata al festival di Fulton, Usa
nel '68 - c'è l'essenza di quello che verrà; di Woodstock,
ad esempio, e di un'intera generazione; e c'è anche la presenza
di uno dei grandi fattori identitari del rock e dei suoi eventi all'aria
aperta: il fango, appunto. Lui c'è sempre, a volte indotto naturalmente
da agenti atmosferici, altre volte casuale, scatenato dai fiotti d'acqua
che irrorano le disidratate masse estive del rock. Nel '69, dal 15 al 17
agosto, i tre giorni di Woodstock furono, ad esempio, anche e soprattutto
i tre giorni del fango; successe di nuovo anche nel '94 in occasione del
concerto che commemorava i 25 anni del festival.
Addirittura fu coniata la parola «mudstock» (da mud, che
in inglese vuol dire fango) tanta fu l'acqua che si rovesciò dal
cielo il 13 agosto. Sul palco c'erano i Green Day e lo show si trasformò
in una battaglia implacabile tra band e fan: tutti scagliavano manate di
fango. Ma era un fango diverso da quello di un quarto di secolo prima.
Stavolta era un mezzo e non più un valore. Anche Woodstock '99 fu
assediata dalla poltiglia scura. Si disse che furono prima i getti d'acqua
refrigeranti del servizio d'ordine e poi la rottura di un tubo a creare
montagne di fango da cui avviare le solite battaglie. L'inferno si scatenò
durante lo show del gruppo Jamiroquai. Non a caso per quell'evento si parlò
di un pubblico di «mud people», immagine che ne evoca un'altra,
tremenda, con cui gli statunitensi identificano con disprezzo i messicani
più poveri e marginalizzati. Anche quello del '99 non era lo stesso
fango del '68/'69; era un fango cinico e impietoso. Come se la metafora
della poltiglia intesa come ritorno alla terra, come terreno obbligato
in cui immergersi sulla strada dell'amore universale, fosse svanita per
sempre. Le ragazze del '99, poi, sembravano molto diverse da quella nella
foto; assomigliavano sempre più alle fantasie machiste del mud wrestling,
un quasi sport tanto di moda in cui donne discinte si confrontano fisicamente
nel fango; intorno un pubblico maschile che applaude e incita. In quel
mondo la poltiglia melmosa diventa l'unico spazio possibile, il collante
tra le contendenti, il rimando al lato animalesco e ferino delle ragazze
coinvolte. Quello è uno dei fanghi più malevoli, e anche
il più esotico. È il fango lascivo e voluttuoso delle «femmine
naturali», «categoria umana» raccontata a inizio Novecento
da William Graham Sumner, uno dei padri più criticati della sociologia
Usa e tra i maggiori paladini del capitalismo statunitense. Il testo del
sociologo, Costumi di gruppi (1907), ispirò una sequela di pellicole
su vampire, primitive, pantere che da sempre affollano Hollywood.
Da quella tipologia umana bisognava sempre diffidare; per Sumner «quelle
donne» impugnavano l'arma della seduzione esteriore ed erano potenziali
alleate del socialismo, sistema nel cui ambito trovava rifugio l'uomo debole,
vittima della passione, dell'emozione, dell'istinto, della sessualità
incontrollata. Il sistema celebrato da Sumner era ovviamente il capitalismo
più amorale e la donna si rivelava un terribile ostacolo sulla strada
della sua realizzazione: sprecare, infatti, il capitale per lei, per i
poveri, i subalterni e i viziosi significava sperperare la linfa vitale
della civiltà. Va notato che da un punto di vista culturale, se
si considera l'acqua - con la sua purezza originaria - il punto di partenza,
allora il fango diviene sintomo di un processo involutivo, un inizio di
degradazione. Dal fango proviene allora - e Sumner doveva sicuramente pensarla
così - tutto quello che, con un simbolismo etico, è identificato
con i bassifondi, la feccia e i livelli inferiori dell'essere. Insomma
un'acqua insozzata e corrotta. A Woodstock e nei raduni hippy precedenti
- non solo musicali - non era così. Al contrario lì si prendeva
la terra come punto di partenza, il fango rappresentava dunque l'inizio
dell'evoluzione. È la terra che si muove, che fermenta e diventa
forma.
Come si vede il fango è un simbolo totalmente incardinato dentro
le nostre esistenze; e non a caso per la tradizione biblica è il
simbolo della materia primordiale e feconda da cui l'uomo è stato
tratto. Muddy Waters, il re del blues elettrico, l'artista che trasferitosi
a Chicago nel 1943 ha cambiato i connotati al genere, il musicista che
ha scritto Rollin' Stone (da cui prese nome l'omonimo gruppo e la rivista
specializzata Usa) sapeva bene a cosa si riferiva il soprannome - acque
fangose - che lo avrebbe accompagnato per tutta la vita; da un lato omaggiava
le rive melmose del Mississippi su cui spesso si intratteneva a giocare,
dall'altro dava il senso della sua musica: fluida, mobile, in evoluzione
come il fango, che mescola terra e acqua e dunque è in grado di
unire il principio ricettivo e uterino (la terra) al principio dinamico
del cambiamento e delle trasformazioni (l'acqua). Il Sessantotto e Woodstock
stanno totalmente dentro l'immagine evocata dal nome del bluesman; di più,
le foto di quegli intrugli umani di fango, sudore e rabbia rimandano a
una terra intrisa di profonda politicità. Immergersi in quel fango,
bagnarvisi, sporcarvisi, quasi addentarlo, contravveniva infatti a una
delle norme non scritte della cultura dominante bianca Usa: mai avvicinarsi
troppo al fango.
Se, infatti, da un lato Malcolm X puntualizzava come uno dei motori
principali delle rivoluzioni fosse il possesso della terra, dall'altro
quest'ultima fu il grande incubo degli schiavi neri. Nel suo studio socio-gastronomico
Nel giardino del diavolo, Stewart Lee Allen ricorda come la terra sia stata
spesso considerata presso culture diverse un alimento importante. Tre le
varietà principali di argilla c'è quella rossa (rustica),
bianca (cremosa eleggera), nera (paragonabile alla cioccolata amara). E
soprattutto quella blu, rara e piena di bollicine al catrame, che solleticano
il palato come lo champagne. Si tratta di cibi ricchi di minerali e hanno
avuto spesso un ruolo essenziale nell'alimentazione di tutto il mondo.
Anche gli schiavi afro-americani mangiavano terra; i proprietari terrieri
facevano spesso indossare ai neri maschere di ferro per evitare che facessero
un uso eccessivo di tali sostanze. Erano convinti che mangiare terra inducesse
indolenza e pigrizia; in realtà erano altre - e ben note - le ragioni
che portavano a eventuali lentezze strategiche, anche se lo strato d'argilla
che copriva le pareti dello stomaco rallentava l'assorbimento delle vitamine,
provocando uno stato generale di letargo o, in alcuni casi, addirittura
la morte.
Un fango quindi da temere e disinnescare; un fango che è in
sé una rivolta. E soprattutto un fango associato all'alimentazione,
dunque alla sopravvivenza, alla vita; un fango che solo in apparenza è
legato ai neri e che proprio per questo fa tanto più paura ai bianchi.
Il primo mangiaterra della letteratura fu infatti un bianco; compariva
in The Flight, il racconto del 1833 di Augustus Baldwin Longstreet e si
chiamava Ransy Sniffle. Questi era lercio, tumefatto dall'alcol; un vero
archetipo del concetto di «white trash», spazzatura bianca;
ovvero quel mondo di bianchi poveri Usa associati ai neri del sud e dunque
tanto più temuti. Il racconto fu soprattutto un atto d'accusa contro
la campagna del democratico Andrew Jackson che puntava al voto di quei
mangiaterra.
Il cibo del resto è stato spesso usato per indebolire l'avversario
politico; non a caso negli anni dei diritti civili la battaglia era anche
per far mangiare neri e bianchi allo stesso tavolo. Woodstock riaccese
subito l'immagine del fango ribelle; e non a caso la prima pagina del 17
agosto del New York Times titolava: «300 mila persone accampate in
un mare di fango (a sea of mud)». Eccolo di nuovo. Il fango che inghiotte,
il fango scagliato metaforicamente contro il moralismo dominante, il fango
che torna a farsi rivolta; che accomuna pacifisti, neri, minoranze etniche.
Nel 2000 la melma divenne per la prima volta nella storia del rock sinonimo
di orrore. A Roskilde, storico festival musicale danese, sono le 22.30
e i Pearl Jam, tra i maggiori rocker Usa, stanno suonando già da
un'ora. Piove da giorni, c'è vento e fango ovunque. All'improvviso
la tragedia: otto ragazzi muoiono travolti in un turbinio di corpi e melma.
Oggi cambia tutto. Il festival del '69 è stato congelato in
un museo sorto a Bethel, la cittadina dove si tenne ufficialmente Woodstock
e anche i fan dei grandi eventi all'aria aperta si organizzano in maniera
diversa. Spesso tende e coperte vengono distribuite gratuitamente e i livelli
di tolleranza fisica e psicologica al clima si sono notevolmente alzati.
Ma c'è di più: apposite organizzazioni offrono ai più
abbienti veri e propri pacchetti vip. Con un costo anche tre volte superiore
al normale biglietto, si ha a disposizione un'apposita toilette da campo,
vitto e alloggio in un hotel nei dintorni. Ovviamente c'è sempre
una macchina pronta a portarti e a riportarti. A questo punto la fotografia
della ragazza comincia a ricomporsi diversamente nella nostra testa; lei
è sempre la stessa, lei è sempre felicemente sudicia, lei
però stavolta ha gli occhi sgranati e un'espressione tanto perplessa.
Quasi a dire che c'è fango e fango.
Francesco Adinolfi, "il manifesto", 18 maggio 2008