Ricordo di Rocco Cerrato
di Sergio Dalmasso


La triste notizia della morte di Rocco riporta alla mente la frequentazione, durata alcuni anni, le collaborazioni, gli incontri, le posizioni comuni. Purtroppo, con qualche rammarico, anche il lungo periodo in cui non ci siamo più sentiti e nel quale avevo di lui solamente notizie indirette. In questa breve memoria, sarò schematico, riportando solamente alcuni modesti ricordi personali.
Autunno 1989. Ho da poco pubblicato un testo sulle origini del “manifesto”, rivista e poi movimento politico. Ricevo una telefonata in cui mi viene chiesta una copia del libro. Chiedo l'indirizzo: prof. Rocco Cerrato, Casalecchio di Reno (BO). Spedisco.
Passa qualche anno. Si tiene a Livorno l'incontro di redattori di varie riviste di area che ipotizzano forme di collaborazione, se non di fusione in un'unica testata. Dirige l'orchestra Walter Peruzzi, militante politico, collaboratore e direttore di tante riviste, oggi dimenticate da “Lavoro politico” a “Marx 101” (sarebbe seguita la bella esperienza di “Guerree pace”).
Intervengo, ricordando come sui periodici della nostra area, accanto alle valutazioni “di fase”, sulla attualità politica e a contributi teorici di non poco conto, manchi un lavoro continuo sulle nostre storie. Le vicende della nuova sinistra e dei movimenti seguiti al '68 non sono oggetto di analisi. Così manca totalmente un bilancio critico sul “socialismo reale” e sulle cause che ne hanno determinato la crisi e il crollo (siamo vicini alla dissoluzione del blocco sovietico).
Mi viene proposto di entrare a far parte della redazione della nuova rivista che si intende far nascere. Faccio presenti problemi ambientali. Abito (allora) in un piccolo paese, periferico, da cui è difficile viaggiare. Alle mie spalle, sento una voce: Accetta. Sono Rocco Cerrato. Lo incontro allora e con lui Fabrizio Billi, a quei tempi giovanissimo, già interessato alla ricostruzione della storia della nuova sinistra (ricordo il suo contributo al recente lavoro su Avanguardia operaia) e alla raccolta di materiali di archivio (giornali, manifesti, volantini, documenti).
Parte la nuova rivista, “Alternative Europa”, direttori Domenico Iervolino, Massimo Gorla, Bruno Carchedi. Io sono nella redazione con il compito di curare una piccola sezione “storica”, Rocco è nel Comitato scientifico con tante figure importanti (Almeyra, Balibar, Buttigieg, Girardi, De Castris, Santarelli, Tosel...).
Decidiamo di costruire un coordinamento di persone interessate ai temi storici per produrre un lavoro collettivo: scelta dei temi da proporre, discussione, confronto, messa in comune di interessi e competenze. Ci vediamo a Bologna, un giorno al mese. Vicino alle torri, in strada maggiore.
Il giro si allarga. Oltre ai bolognesi (Rocco, Fabrizio, Simona Urso, Carmelo Adagio) partecipano William Gambetta di Parma, Dario Petrosino, Luigi Urettini (Treviso), Andrea Rapini, quindi i torinesi Diego e Carla, per una breve fase, i romani Paola Ghione e Marco Grispigni, curatori di Giovani prima della rivolta (Roma, manifesto libri, 1998).
La collaborazione alla rivista, come alla piccola “Per il '68”, edita dal 1991 al 1999, per 19 numeri, dal Centro di documentazione di Pistoia e pioniera, nei suoi limiti di uno studio critico della stagione dei movimenti, è al centro del nostro lavoro, ma non lo limita.
Produciamo un testo collettivo, di addirittura sedici saggi, Il lungo decennio. L'Italia prima del '68 (Verona, Cierre ed., 1999). Rocco è autore del saggio Dal Concilio al Sessantotto che sembra quasi ripercorrere parte della sua biografia. Sacerdote a Faenza è toccato, quasi a trent'anni di età dal Concilio Vaticano secondo, dalla speranza di un rinnovamento che dalla Chiesa cattolica si estenda alla società. La sua militanza politica, dalle comunità di base a DP, di cui a Bologna è tra i fondatori (molti suoi brevi scritti compaiono su “Il Carlone”) sino a Rifondazione, nasce da una profonda spinta etica, propria del cattolicesimo di base e post- conciliare. Non è un caso che, nel suo scritto, il Concilio venga letto come l'esperienza fondamentale della Chiesa cattolica nel ventesimo secolo e come la non attuazione, già dal 1964, delle sue scelte sia ritenuta uno scacco profondo.
Colma di passione e di speranza è la rievocazione degli anni 1967- 1968, dei convegni, delle assemblee nazionali dei gruppi cattolici che vedono maturare una nuova figura di credente. Centrali sono il ruolo delle tante riviste (“Questitalia”, “il Gallo”, “Il tetto”, “Concilium”), del rapporto con la teologia europea e con i movimenti di sinistra (immediata è la critica alla sinistra storica, nelle sue varie accezioni). Prima fra tutte la fiorentina “Testimonianze”.
L'interesse alle radici della “stagione dei movimenti” torna con “Prima del '68”, con una scansione simile a quella del libro precedente. Ricordo la grande capacità ed efficienza di Bruno Carchedi che ne cura pubblicazione e (piccola) diffusione.
La collaborazione allarivista vede scritti frequenti. Ricordo interventi sull'ottobre russo, sul revisionismo storico, sul rapporto intellettuali/PCI (dai libri di Nello Ajello), sul “Manifesto” di Marx, su un bilancio del '68, sul modello emiliano.
Non mancano i problemi: la proposta iniziale di potere utilizzare “ad libitum” quattro pagine della rivista cozza con le uscite, gli spazi, la necessità di inserire altri scritti. La stessa rivista vive scossoni: alcuni redattori (Antonio Moscato, Walter Peruzzi...) criticano la gestione di Iervolino. Si sommano, come sempre, i problemi finanziari. E' ovvio che, da parte di Rifondazione e dell'area potenzialmente interessata, l'interesse sia insufficiente rispetto alle speranze. Inizia una serie progressiva di modificazioni, trasformazioni anche della veste grafica che non risolvono, comunque, i problemi.
Anche la piccola “Per il '68” si avvia al capolinea. Dopo nove anni di vita, dovuti in gran parte al centro di documentazione di Pistoia, le (poche) vendite ristagnano, il lavoro sembra accentrarsi su pochissime persone, i debiti non sono enormi, ma le spese crescono. Sembrano esaurirsi anche i motivi che hanno portato alla sua nascita. Sul tema si sono moltiplicati gli studi, i convegni. Sembra venuta meno la natura pionieristica che, dal primo ciclostilato, curato da Attilio Mangano, alle gestioni successive alla crescita di contributi (non posso dimenticare uno scritto del grande Enzo Santarelli) la ha accompagnata nel tempo ( i numeri speciali sugli anniversari: 1968, 1977, autunno caldo).
In una riunione, in casa di Fabrizio Billi, si propone di chiudere l'esperienza che, alcuni, in modo eccessivo ritengono totalmente superata e inutile. Propongo di pubblicare ancora un numero riepilogativo che faccia l'esame di un lavoro comune e raccolga interventi, di bilancio, dei/delle redattori/redattrici e ragioni sui singoli temi che abbiamo analizzato. Esce nel 2000, fine di una parabola. “Saggi” di Giachetti, Mazzoleni, Mangano, Muraca, Pagliero, Scavino, Adagio. A me, ovviamente, tocca ragionare su Storia, politica, organizzazioni. Rocco, sempre schivo e avaro di scritti (Botti lo definirà uno storico più attento alla lettura che alla scrittura) non compare.
Sulle ceneri, nasce la bella esperienza di “Zapruder”, edita, dal 2003, da Odradek (oggi da Mimesis). Innovativa, capace di confrontarsi con altre discipline, di rifiutare il carattere individualistico della ricerca storica, di affrontare le storie di genere, quella sociale, l'oralità, con un richiamo alla con- ricerca, la rivista segna un indubbio salto di qualità, come dimostrano la qualità dei contributi, il ricambio delle collaborazioni, la capacità di confrontare metodologie diverse.
Rocco ed io (anche se fra noi vi sono parecchi annetti) ne siamo meno convinti. Forse ci lega un interesse più legato alla storia politica, fattuale e teorica, a metodologie più tradizionali che l'età ci fa sembrare più sicure.
Non è un caso che gli scritti successivi di Rocco, più o meno brevi, spesso di carattere giornalistico, tocchino sempre i temi a lui cari (Murri, Bonaiuti, Balducci...).
In questo ambito, nel giugno 1999, molt* di “noi” partecipano, ad Urbino, ad un seminario, da lui organizzato, sulla rivista “Questitalia”, una delle più significative voci del mondo cattolico, fondata e diretta da Vladimiro Dorigo, al cui percorso e alle cui speranze nel Concilio, Rocco si sente molto affine.
Il periodico nasce all'inizio del 1958, al manifestarsi della crisi del centrismo democristiano e termina nel 1970. Nelle pagine della rivista l'analisi del problema cattolico viene condotto nei termini di una severa laicità.La conseguente liberazione politica dei cattolici è la prospettiva indicata per superare ogni forma storica di integrismo.
Ci rivediamo, quasi una rimpatriata, alcuni anni dopo. Rocco, dopo anni va in pensione e dice addio all'università di Urbino. Vi è un pranzo, una domenica, a Bologna, tra persone che lo hanno incontrato, negli anni: Università, comunità ecclesiali, impegno politico e culturale.
Al termine, con sua sorpresa, credo sincera, Rocco riceve un libro cui tutti gli amici hanno collaborato: Studi ed esperienza religiosa. Studi per Rocco Cerrato, curato dalla fondazione Romolo Murri e da Alfonso Botti. Scritti diversi, a cominciare da quello di Lorenzo Bedeschi, tutti sul mondo cattolico, non solamente italiano. A me tocca, dato il mio noto amore per il socialismo di sinistra, riassumere il rapporto tra Lelio Basso e la religione, percorso singolare nella storia della sinistra italiana, spesso incapace di uscire dal bivio tra compromesso e anticlericalismo.
Il saluto di Rocco è commovente: con gli anni si attenuano, a poco a poco, la tensione politica e la passione per lo studio. Restano, però, gli affetti, l'amicizia, la stima reciproca con chi si conosce e si apprezza. Un messaggio da vecchio filosofo “stoico” che tutt* apprezziamo e che ci commuove.
Non lo ho più visto da quella data. Qualche telefonata, gli auguri a fine anno. Scambio di idee (mai ottimistiche) sulla situazione politica e sul progressivo venir meno di valori, speranze, sul modificarsi, in peggio, del senso comune.
Qualche domanda sulla reciproca attività, sull'impegno nella sempre sperata ricostruzione di una sinistra, aperta e plurale, la sua esortazione perché io non interrompa i piccoli e dilettanteschi interessi storici.
Nelle mie rare “puntate” a Bologna, la prima domanda è sempre: Come sta Rocco?
Qualche giorno fa, a Genova, un amico mi chiede: Conoscevi Rocco Cerrato? Capisco che non c'è più. Non ho letto l'articolo del “manifesto” che lo annuncia.
Mi resta un ricordo bellissimo di una amicizia lunga, nonostante le insufficienti frequentazioni.
Conservo una lezione morale, l'esempio di una eticità in cui la tensione religiosa e la speranza politica, quasi antropologica, si sono fuse. Accadeva in altre stagioni politico- sociali. Un po' lontane. Purtroppo.