Questo libro si può leggere un po’ come un romanzo, un po’ come
un noir, e un po’ come un’opera di memorialistica, senza però essere
strettamente autobiografica. Infatti le vicende personali dell’autore,
alla fine degli anni settanta militante nei Proletari Armati per il Comunismo,
servono da spunto per una vicenda romanzata che si snoda attraverso la
lotta armata, le rapine, il carcere: momenti della trama del libro che
anche l’autore ha conosciuto. Infatti Battisti ha fatto la vita del militante
clandestino di una organizzazione armata, è stato arrestato, poi
dopo una rocambolesca evasione è andato in esilio a Puerto Escondido
e poi a Parigi, dove vive attualmente scrivendo libri noir di successo.
Solitamente nelle memorie di ex protagonisti della lotta armata manca
il senso della quotidianità, mai si narra né delle vicende
quotidiane anche banali, ridicole o misere (i litigi, le vicende di corna).
Questo almeno per quanto riguarda le memorie di ex brigatisti, non a caso
eredi di una tradizione terzinternazionalista seriosissima, che vede la
propria azione come l’ombelico dell’universo e della storia e prende tutto
estremamente sul serio, prima il delirio violento che scambia esecuzioni
individuali per guerriglia delle masse, poi un pentimento totale che si
conclude spesso nelle braccia della Chiesa.
Diversa è la situazione di quella parte di “movimento” che scelse
di ribellarsi con le armi. Battisti proviene da questo mondo, faceva parte
di quei giovani che in quegli anni vivevano di politica, in quella galassia
che si chiamava “movimento” in cui c’era tutto e il contrario di tutto:
operaisti e femministe, fricchettoni e seriosi responsabili di servizi
d’ordine, antifascisti militanti e cultori dello yoga, il tutto tenuto
insieme da un ribellismo a volte politico ed a volte esistenziale, e da
una comunanza ideologica che in quegli anni non poteva non dirsi diceva
marxista.
Battisti dipinge con efficacia la vita di quei giovani provenienti
dal “movimento” che scelsero la ribellione armata. Le formazioni armate
provenienti da quel magmatico movimento avevano uno “stile politico” ben
diverso da quello brigatista, spontaneista anziché considerarsi
nucleo d’acciaio di un autentico partito comunista rivoluzionario e combattente.
Anche queste differenze tra Br e gli altri gruppi armati sono raccontate
da Battisti, che narra i frequenti litigi dovuti a concezioni del mondo
e della politica ben differenti, ben più vivaci quelle dei gruppi
armati provenienti dal “movimento” rispetto alla paranoia brigatista, pur
per quanto sia, a mio giudizio, criticabile e politicamente errata la scelta
dello scontro militare fatta da quei gruppi armati.
A mio parere il pregio maggiore di questo libro sta nella descrizione
del vissuto quotidiano dei militanti di questi gruppi armati. Una quotidianità
un po’ caotica ed arruffona, sempre dominata dalla consapevolezza dell’ineluttabilità
di un destino di scontro col potere, per una battaglia il cui esito non
si prevede mai vittorioso, ma a cui non si riesce a sottrarsi.
La descrizione di alcuni momenti è veramente esilarante, come
il ritratto del vecchio anarchico che ospita i clandestini, a cui nel ’45
il Pci ha impedito di far saltare la caserma dei carabinieri del paese,
frenando così “la rivoluzione in Italia”. E che da allora conserva
armi e bombe, non si sa se cariche o no, certo non pericolose per la salute
dei suoi ospiti clandestini quanto le generose cene a base di salame e
vino rosso a cui li costringe.
Questo libro non è un saggio storico o politico, perciò
non chiediamogli quello che non può dare: una spiegazione del perché
ci fu chi scelse di passare alla lotta armata, della contraddizione tra
i comportamenti ludici ed ironici prevalenti nel movimento e la scelta
della violenza.
Quello per cui il libro è prezioso è il suo valore di
testimonianza, oltretutto raccontata con ritmo serrato, stile diretto,
prosa efficace. Una testimonianza a volte con momenti tragici, a volte
gioiosi, a volte banali o ridicoli. E proprio per queste differenti tinte,
una testimonianza viva, tutt’altro che grigia.
Come scrive giustamente Valerio Evangelisti nell’introduzione: “Cesare
Battisti ci parla di tutto questo, col tono aspro, l’ironia e l’assenza
di retorica che gli sono consustanziali. Devono essergli grati non solo
i lettori generici, ma anche gli studiosi dei comportamenti collettivi,
dai sociologi agli storici: non hanno mai avuto tra le mani una testimonianza
pari a questa. Ci voleva uno scrittore condannato all’esilio dal suo paese,
dopo un’evasione e una sentenza di taglio militare assurdamente severa,
per ripercorrere senza animosità ma con passione anni di cui, in
Italia, è ancora difficile parlare, a meno di non rendere omaggio
alle fumisterie di complotti inesistenti o di spargere lacrime di contrizione”.