E' una trama di spiazzanti tensioni e paradossali equilibri visivi quella che sostiene "Gli specchi dovrebbero pensare più a lungo prima di riflettere", il progetto espositivo concepito da Andrea Salvatori in dialogo con l'eclettico patrimonio del Museo Davia Bargellini di Bologna, visibile dal 22 gennaio al 10 aprile 2016.
La mostra, a cura di Sabrina Samorì e Silvia Battistini, è uno degli eventi speciali di ART CITY Bologna 2016, il programma di iniziative istituzionali promosso dal Comune di Bologna in collaborazione con BolognaFiere in occasione di Arte Fiera, con il coordinamento curatoriale di Laura Carlini Fanfogna, direttrice dell'Istituzione Bologna Musei. Un programma che si propone di offrire nuove prospettive di visita al patrimonio storico-artistico attraverso l'intervento di artisti contemporanei invitati a confrontarsi con luoghi significativi della città.
Formatosi nel campo della scultura, Andrea Salvatori si appropria del classico mezzo ceramico per dare vita a invenzioni plastiche e formali intrise di ironia e visionaria surrealtà. Gioca e si diverte a reinventare la materia, costruendo opere di senso narrativo straniante e spesso di estetica kitsch che nascono dall’assemblaggio di oggetti comuni recuperati dal passato e decontestualizzati dalla loro funzione d’uso originaria, con anomali elementi scultorei da lui creati. Con questa attitudine giocosa, l'artista faentino si confronta con le eterogenee collezioni del Museo Davia Bargellini per la prima volta coinvolte nel circuito di ART CITY Bologna, costruendo un percorso espositivo composto da 67 opere, di cui circa la metà realizzate appositamente per questa occasione.
L' allestimento, il cui titolo si ispira a una celebre frase di Jean Cocteau,interessa direttamente gli arredi originali del museo bolognese - fondato negli anni Venti del XX secolo con l'intento di riprodurre un appartamento nobiliare del Settecento con mobili e suppellettili di pregio - e le opere di Salvatori sembrano trovare qui una cornice di ambientazione ideale che ne enfatizza la natura mimetica e ingannevole. L'operazione di mise en scène si risolve con esiti mutevoli, ma ugualmente fertili, secondo un approccio a volte didascalico per il rivelarsi immediato di affinità tematiche, altre sottilmente perturbante per gli audaci accostamenti proposti. In ogni caso, una sfida per le consuetudini visive degli spettatori invitati a rintracciare sorprendenti intersezioni con il patrimonio del museo.